Un colpo al cerchio ed uno alla botte: le nuove regole della mediazione


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Il 20 settembre 2013 sono entrate in vigore le ‘nuove’ norme sulla mediazione delle controversie civili e commerciali: la legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha convertito il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto ‘decreto del fare’) è infatti intervenuta sul testo del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 confermandone l’impostazione generale e modificandone significativamente alcuni aspetti.


Si tratta, innanzitutto, dell’obbligatorietà del preliminare ricorso alla mediazione con attinenza ad una pur ristretta selezione di controversie che la sentenza della Corte costituzionale del 24 ottobre 2012 ritenne incostituzionale – se pur per sotto il profilo tecnico e non sostanziale del difetto di delega da parte del legislatore delegante – che oggi è stata espressamente ripristinata stralciando, tuttavia, le controversie relative agli incidenti stradali.


Il legislatore si è, così, mostrato alquanto sensibile alle pressanti istanze dell’avvocatura, che in questo senso premeva ab initio, assecondando le richieste di quei legali sulla cui attività tanto incide questo tipo di contenzioso.
Positivo, per contro, che la sfera delle liti relative alla ‘responsabilità medica’ sia stata, invece, ampliata mediante la correzione in ‘responsabilità sanitaria’, così comprendendosi anche le liti delle quali sono parte – oltre ai medici ed alle strutture ospedaliere – anche laboratori di analisi, professionisti e tecnici paramedici oltre, naturalmente, ai veterinari.


Più che condivisibile anche l’adozione del criterio di competenza territoriale: l’organismo di mediazione deve avere sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia e, nel caso di più domande, la mediazione avrà luogo presso l’organismo ove è stata presentata la prima.
Altrettanto positivo l'aver posto fine alla altalenante giurisprudenza in tema di trascrivibilità dell’accordo conciliativo che comporti l’acquisto della proprietà per usucapione: all’articolo 2643 cod. civ. è ora aggiunto il numero 12 bis, che consente la trascrizione ogniqualvolta gli accordi rechino “la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.


Importante e significativo l’intervento sull’art. 5, secondo comma del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, secondo il quale oggi il giudice, anche in sede di giudizio d’appello, non si limita più ad ‘invitare’ le parti a ricorrere alla mediazione, ma “può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”, non soltanto con riferimento ai casi di obbligatorietà, ma altresì a quelli di volontario ricorso alla mediazione, ed il mancato esperimento è condizione di procedibilità.


In relazione a ciò è opportuno sottolineare che la stessa legge 9 agosto 2013, n. 98, affronta il tema della conciliazione non soltanto con riferimento alle modificazioni apportate al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ma interviene anche sui poteri del giudice nel corso del processo: inserisce, infatti, nel codice di procedura civile l’art. 185 bis, a norma del quale “il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa”.
E’, così, nella sostanza, ripristinato il ruolo del giudice già previsto dalla formulazione che l’art. 183 del codice di procedura civile aveva prima della riforma del 2005, rafforzando le possibilità di una conclusione negoziata del conflitto.


L’attuale intervento legislativo trascura tuttavia la sfera consumeristica, che rappresenta il prossimo banco di prova della mediazione (come è noto, il 12 Marzo 2013 il Parlamento europeo ha adottato la Direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie di consumo e di utenza, insieme al Regolamento inerente la mediazione on-line delle controversie derivanti da contratti egualmente effettuati online) e questa trascuratezza è assai curiosa nella (conclamata) prospettiva di riduzione del contenzioso giudiziario tramite la mediazione, in quanto sono proprio le controversie nel settore del turismo, oltre a quelle relative alle garanzie nella vendita di beni di consumo, a contribuire al complessivo volume dei procedimenti giudiziari.


Il procedimento di mediazione ha ora una durata massima di tre mesi, anziché i quattro originari, ed è escluso l’obbligo di farvi ricorso nelle controversie – che pur lo contemplerebbero – se seguono la via del procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, delineato dall’art. 696 bis cod. proc. civ., che già rappresenta una forma ad hoc di ricerca di soluzioni conciliative, in quanto con esso il legislatore ha rafforzato lo strumento conciliativo qualora il consulente tecnico individui i presupposti di un accordo fra le parti: si consideri che con questo procedimento il conflitto ben può concludersi senza necessità di instaurare un giudizio nel corso del quale far valere la relazione peritale.


La scelta adottata per contenere le resistenze della classe forense comporta, poi, una ulteriore concessione, che non appare frutto di una coerente valutazione, bensì di una ulteriore resa: la legge 9 agosto 2013, n. 98, ha infatti modificato l’art. 8 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, disponendo che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.


Come è evidente, non vi è alcuna necessità della presenza di un difensore in un procedimento che, per sua natura, si colloca agli antipodi rispetto a quello giudiziale; può, inoltre, non essere fuori luogo il timore che la presenza dei legali costituisca un diaframma apposto alla proficua gestione delle emozioni delle parti ad opera del mediatore, e si può solo auspicare che si radichino prassi improntate alla consapevolezza della centralità del ruolo cui possono adempiere avvocati sensibili e consapevoli dei tratti e delle potenzialità della mediazione.


Ma non è tutto: la legge 9 agosto 2013, n. 98, ‘promuove’ di diritto ogni avvocato iscritto all’albo in mediatore: poiché, secondo dati dell’agosto 2012, si tratta di 247.040 potenziali mediatori, è da chiedersi, innanzitutto, quali spazi residuino per soggetti diversi; in secondo luogo se il rischio dell’inadeguatezza di una avvocatura cui oggi sono in gran parte delegate le chances di successo della mediazione possa essere scongiurato dalla disposizione dell’attuale comma 4 bis dell’art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, a norma del quale “gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense”, che tratta, per l’appunto, dei doveri etici dell’avvocato nel procedimento di mediazione.


La preparazione dei legali rileva ulteriormente in quanto è ora stabilito che essi sottoscrivano, insieme alle parti, l’accordo conciliativo attestandone e certificandone la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Inoltre, è istituito un incontro preliminare, quasi una sorta di pre-trial, nel corso del quale “il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”: non potrebbe trovare, pertanto, maggiore riconoscimento il ruolo dell’avvocato nei confronti delle scelte della parte assistita.
La legge 9 agosto 2013, n. 98 ha, poi, inserito il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, a norma del quale “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione” in aggiunta alle spese di avvio, pari a 40 euro.


L’innovazione, condivisibile dal punto di vista dell’interesse dei cittadini di evitare sterili aggravi nei costi dell’accesso alla giustizia, lascia, invece, perplessi in una diversa prospettiva: quella dei – non meno condivisibili – diritti dei mediatori (per tacere degli organismi di mediazione) a non prestare l’opera loro, per scarsa che sia, gratuitamente.


Per quanto concerne questi ultimi, ci si può spingere a sostenere che lasciare a loro carico taluni costi organizzativi rappresenti il rovescio della medaglia dei profitti che sono loro garantiti dai procedimenti che abbiano regolare svolgimento, anche se può essere fonte di apprensione domandarsi quali organismi possano, comunque, avere interesse ad operare in assenza di remunerazione, ma certo non sembra potersi traslare analoga impostazione ai mediatori che, convocati per l’esperimento del tentativo di mediazione, vi dedicano tempo ed energie.
A ciò si aggiunga che, comunque, l’emolumento dei mediatori stessi non soltanto è, di regola, modesto, ma è anche totalmente lasciato alla decisione degli organismi, non essendoci su questo aspetto regole né legislative, né regolamentari, ma soltanto tabelle degli stessi organismi, completamente discrezionali: per la qualità, l’indipendenza e l’affidabilità della mediazione è, quindi, auspicabile che questi delicati profili trovino regole oggettive, sensate e condivise.
 

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Autore:


Professore di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, ove è incaricato anche del corso di Diritto dei consumatori, è avvocato e co-direttore di Consumatori, diritti e mercato. E' responsabile scientifico di numerosi enti di formazione dei mediatori civili e commerciali.

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