Grande distribuzione e filiera agro-alimentare: un’analisi critica


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Il mercato del cibo nel mondo è attraversato da profonde tensioni tra agricoltori, imprese agroalimentari e distributori, in particolare in Italia, paese mediterraneo con una forte tradizione agricola ed un grande interesse al mercato alimentare di qualità. 


L’Italia è uno dei Paesi a più ampia densità dei negozi di prossimità, tendenza proseguita anche con l’affermarsi della G.D.O. Infatti, lo sviluppo della grande distribuzione è stato lungo e travagliato, e solo con la riforma del commercio del 1998 sono stati eliminati numerosi vincoli, quali il risalente sistema delle tabelle merceologiche.


La crescita della GDO nel comparto alimentare, sorretta dalle politiche di liberalizzazione del settore, consentiva di attendersi un significativo sviluppo dell’efficienza dei rapporti della filiera, garantendo maggiore redditività per i produttori e vantaggi in termini di varietà, salubrità e prezzo per i consumatori. Tuttavia queste aspettative solo in parte si sono realizzate.


Gli indici C3 sulla concentrazione del mercato di riferimento indicano un’elevata frammentazione a livello nazionale e una disomogenea diffusione delle grandi catene sul territorio, ma con forme di “oligopolio localizzato” in specifiche aree territoriali. I primi tre operatori nazionali detengono circa il 34% del mercato nazionale ma se, misuriamo il livello di concentrazione rispetto ai punti vendita superiori a 1500mq, in alcune regioni, come Toscana ed Emilia Romagna, le prime tre catene nel mercato regionale detengono una quota pari rispettivamente al 78% e all’80%. In queste regioni, il primo operatore, Coop, detiene da solo una quota di mercato pari rispettivamente al 41,1% e 48%. Simili valutazioni sono state anche ribadite dalla recente decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che, con provvedimento del 28 giugno 2012, ammette che “il consorzio Coop Italia, ha messo in atto una strategia unitaria, continuata e ripetuta dal 2001 al 2009, i cui effetti permangono ancora oggi: in particolare la società si è frapposta, in maniera sistematica, ai tentativi del concorrente di avviare nuovi punti vendita alimentari, in aree potenzialmente idonee ad insediamenti commerciali e già nella sua disponibilità [….] anche intervenendo strumentalmente negli iter amministrativi in corso avviati da Esselunga per ottenere le necessarie autorizzazioni. [….] Per effetto di tali comportamenti, Coop Estense ha mantenuto, ed anche rafforzato, la propria posizione dominante nei mercati rilevanti, con quote crescenti nel tempo e che si attestano, per il 2011, al 66% nel mercato degli ipermercati e al 47% in quello dei supermercati nella provincia di Modena. Inoltre, impedendo ad un concorrente efficiente di accedere al mercato, Coop Estense ha determinato un danno ai consumatori in termini di maggiori prezzi e/o di minore scelta” (provvedimento A437).


Questi elementi evidenziano un rischio di un basso livello di intra-type competition su specifici mercati locali, rafforzato tra l’altro dal fatto che spesso alcune catene fanno parte della medesime centrali d’acquisto o passano frequentemente da una centrale d’acquisto ad un’altra così che, piuttosto che creare vantaggi in termini di risparmio e assortimento per i consumatori finali, avrebbero finito per standardizzare varietà e politiche di prezzo. 


Questa analisi risulta suggerita da un recente rapporto sulla GDO nel settore alimentare della stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato che confermerebbe altresì le recenti conclusioni di uno studio della Banca Centrale Europea del 2011 Structural Features of distributive trades and their impact on prices on euro area sul mercato food & beverage in sei paesi Paesi Europei, tra cui l’Italia, in cui si metterebbe in evidenza come la strategia crescente di centralizzazione degli acquisti da parte dei maggiori distributori non produrrebbe nessun significativo effetto sulla dinamica dei prezzi alimentari al consumatore finale.  


Inoltre, nell’Indagine conoscitiva sul settore della GDO – IC43 del 2012 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, analizzando 400 imprese dell’agro-alimentare, evidenzia la rilevanza di pratiche di buyer power da parte dei maggiori distributori, sotto forma di richieste di contributi e fee di ingresso. 


Simili richieste, presentate come meccanismi per garantire un più efficiente sistema di fornitura, in realtà assumono i connotati di vere e proprie pratiche vessatorie nei confronti dei fornitori dell’agro-alimentare che deteriorano i rapporti tra distributore e produttore. I dati dell’Indagine conoscitiva evidenziano come nel corso del periodo di fornitura, il distributore propone di frequente (nel 67% dei casi) al produttore di modificare a proprio vantaggio le condizioni economiche già definite nell’ambito delle negoziazioni precedenti e che tali nuove clausole possono avere finanche valore retroattivo, (circa il 40% delle imprese intervistate lo dichiara). 


Nei casi, comunque presenti, di rifiuto, il 74% dei rispondenti dichiara di avere subito, almeno una volta, una qualche conseguenza (delisting o peggioramento sostanziale delle condizioni di fornitura). Inoltre, al fornitore sono richiesti dei contributi per servizi del distributore che di fatto non vengono realizzati o comunque non sono accertabili pienamente in quasi un terzo dei casi. 


Le pratiche vessatorie appaiono più fortemente gravose e richieste a quelle imprese più piccole (tra il 60-70% dei casi contro il 20-40% di quelle di dimensioni maggiori), con un fatturato generalmente inferiore ai 10 milioni di euro e che servono un numero limitato di catene (compreso tra 1 e 3), che sono le più diffuse nel tessuto imprenditoriale nazionale. Queste pratiche quindi salvaguarderebbero le aziende più forti e dotate di un maggiore potere contrattuale che in questo modo, potrebbero scaricare sui produttori più piccoli gli oneri “richiesti” dal distributore, tenendo sotto controllo il ruolo di quest’ultimi nel mercato e limitandone così la spinta competitiva. Allo stesso modo la rilevanza di queste pratiche potrebbe indurre il produttore ad aumentare il prezzo di vendita o introdurre con più difficoltà prodotti nuovi, proprio perché più onerosi dal punto di vista dei contributi richiesti dal distributore, rischi sottolineati dai maggiori analisti sul tema come Lariviere e Padmanhabhan (1997), Sullivan (1997), Sackuvich (1998) e Dobson e Inderst (2011).  


Sul fronte della qualità, secondo una recente stima di Coldiretti, le frodi alimentari negli anni della crisi sarebbero aumentate del +248% e la GDO non sempre avrebbe rappresentato un argine sufficiente ad una ‘deriva bassa’ sul mercato alimentare di massa. Questi elementi si rifletterebbero anche nella crescente disaffezione dei consumatori italiani nei confronti degli acquisti alimentari al supermercato, testimoniata dai dati Istat, ma anche dalla indagine Censis del 2013 La sicurezza alimentare nella percezione degli italiani, che evidenzia come quasi il 40% degli italiani intervistati pensa - allarmantemente - che al supermercato si trovino cibi di scarsa qualità o mal conservati. 


Il calo dei consumi alimentari e le criticità fin qui osservate evidenziano come il sistema della GDO italiana deve trovare una strategia di rilancio nella capacità di produrre benefici in termini di welfare dei consumatori, iniziando da una maggiore tendenza al downsizing dei formati dei punti vendita al fine di recuperare quella dimensione relazionale con il cliente che la tendenza storica alle grandi superfici ha portato a mettere in secondo piano e che, invece, potrebbe rappresentare un elemento del servizio atto ad echeggiare l’antico rapporto fra venditore e consumatore.


Simili scelte son sottostanti formule distributive più piccole, riposte su un rapporto più stretto con quei produttori che operano meno verso prodotti mass market, ma verso un’immagine di qualità superiore, indirizzandosi non solo ai mercati della GDO, ma anche ai Farmer Markets, i gruppi d’acquisto e le cosiddette Boutique alimentari, valorizzando un nuovo pluralismo e una ‘bio-diversità’ imprenditoriale delle forme distributive. 


Al tempo stesso i rapporti all’interno della filiera agro-alimentare ed il tema del buyer power, oggetto di attenzione da parte di tante autorità antitrust nazionali, sono oggetto di una crescente attenzione da parte della Unione Europea, che ha recentemente licenziato il Libro verde sulle partiche commerciali scorrette nella catena di fornitura alimentare e non alimentare tra imprese in Europa (2013), così come la Commissione Europea ha attivato la costituzione del Forum for a Better Functioning Food Supply Chain nel Continente secondo un approccio multi-stakeholder, sebbene - al momento – queste iniziative assumano per lo più la forma di strumenti di soft regulation o di semplice moral suasion. 

 

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Autore:


Davide Arcidiacono è Research Fellow in Sociologia Economica e docente a contratto in “Comparative Political Economy and Social Policy” presso il corso di laurea magistrale in “Global Politics and Euro-Mediterranean Relations” (Università degli Studi di Catania). Membro dell’Associazione Italiana di Sociologia-Sezione Economia, Lavoro e Organizzazione (AIS-ELO), collabora attivamente alla gestione del Master in “Customer Care e Tutela dei Consumatori” dell’Università di Catania, finanziato dal Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti e dal Ministero per lo Sviluppo Economico e giunto alla sua VI edizione. Ha partecipato a numerose ricerche nazionali e internazionali sui temi dello sviluppo economico e dei consumi e collabora attivamente anche con associazioni e centri studi che si occupano di consumi e stili di vita (Consumers Forum, Consumer-Inst). Tra le sue pubblicazioni più recenti: “Consumatori Attivi. Scelte d’acquisto e partecipazione per una nuova etica economica” (Franco Angeli, 2013), “Crisi e consumi in Italia tra antiche vulnerabilità e nuove strategie d’acquisto”(Sociologia del lavoro, n. 131, 2013), “Consumer’s rationality in a multidisciplinary perspective”(Journal of Socio-Economics”, n. 43, 2011).

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