Class action e inquinamento idrico


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Dichiarata ammissibile dal Tribunale di Roma l'azione di classe contro i somministratori pubblici di acqua inquinata

 

Il rapporto tra la tutela dell'ambiente e la tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali è sempre stato descritto dagli studiosi come una delle più colossali lacune del nostro ordinamento. Da sempre si invoca, infatti, una maggiore chiarezza sulla natura di tali interessi nel campo ambientale soprattutto in ordine alla riferibilità di questi interessi alla persona in quanto tale, nella sua duplice dimensione, individuale e collettiva così come prevede la nostra Costituzione. E’ difficile, infatti, segnare una netta distinzione tra tutela degli interessi individuali e tutela degli interessi collettivi in materia di inquinamento posto che la stessa nozione di ambiente richiama ad un tempo sia il concetto di luogo di vita degli individui sia il concetto, eminentemente collettivo, di realtà in cui si svolgono le attività di una comunità che viene danneggiata collettivamente.


Il Collegio del Tribunale di Roma, con due ordinanze gemelle, depositate il 2 maggio 2013, che hanno dichiarato “ammissibili” due azioni di classe promosse da alcuni cittadini molisani nei confronti dei Comuni di Petacciato e Montenero di Bisaccia sembra aprire varchi significativi in materia di tutela ambientale, per la prima volta, attraverso lo strumento di “tutela giurisdizionale dei diritti” introdotto con l’art. 140bis del Codice del consumo.


L’azione era stata avviata a seguito di fenomeni di grave inquinamento da trialometani (agente altamente cancerogeno) presenti nell’acqua potabile dell’area molisana tra il 2010 ed il 2011. Con le suddette ordinanze Il Tribunale di Roma ha ritenuto fondata la domanda di condanna alle restituzioni per tutti gli utenti del servizio non avendo potuto costoro fruire del servizio idrico per i mesi di dicembre 2010 e gennaio 2011 ed ha disposto, inoltre: che devono ritenersi inclusi nella classe e possano aderire all'azione tutti i soggetti titolari di un contratto di somministrazione idrica con i Comuni di Montenero di Bisaccia e Petacciato nel periodo 28.12.2010/3.1.2011; la pubblicazione del provvedimento, a cura e spese delle parti proponenti su "Il Messaggero”, "Corriere della Sera" e "La Repubblica"; la fissazione di un termine per il deposito degli atti di adesione presso la cancelleria del Tribunale; la trasmissione delle ordinanze al Ministero dello Sviluppo Economico per le ulteriori forme di pubblicità di competenza.


Le due ordinanze hanno ribadito alcuni principi particolarmente importanti per una garanzia di effettività dello strumento di tutela di cui all’art. 140bis del Codice del consumo.
L’azione di classe, infatti, può essere promossa nei confronti della Pubblica Amministrazione non soltanto nelle ipotesi in cui eserciti attività imprenditoriale ma anche quando provveda direttamente all’erogazione del pubblico servizio di somministrazione di acqua. Infatti, nel rapporto contrattuale con i singoli utenti, il Comune convenuto agisce iure privatorum e non quale soggetto attributario di funzioni pubbliche. Le pronunce si inseriscono, dunque, nel solco tracciato già da varie sentenze di legittimità che avevano affermato il principio secondo cui i contratti di fornitura di servizi pubblici destinati all'uso privato hanno natura di diritto privato, con la conseguenza che i rapporti fra utente ed erogatore del servizio sorgono e si muovono nell'ambito di posizioni di diritto soggettivo perfetto sicchè resta ininfluente la circostanza che le tariffe siano fissate con metodi e procedure autoritative, perché dette tariffe, una volta emesse, si inseriscono come elementi necessari ed obbligatori di un contratto di diritto privato, come se fossero state pattuite dai privati e consacrate in clausole contrattuali. Resta, dunque, confermato, che le controversie relative ai «rapporti di utenza» di servizi pubblici, non investono scelte discrezionali della pubblica amministrazione o i provvedimenti amministrativi da questa emessi.


Il Collegio del Tribunale di Roma ha, dunque, respinto decisamente la tesi delle Amministrazioni secondo cui il caso avrebbe dovuto essere inquadrato nella disciplina di cui al d.lgs. n.198/2009, che ha dato attuazione alla legge 4 marzo 2009 n.15 in materia di efficienza della Pubblica Amministrazione. Per il Tribunale di Roma, la class action disciplinata dal codice del consumo (modificata da ultimo dall'art.6 del D.L. n.1/2012 convertito in legge n.27/2012), va distinta dalla forma di tutela collettiva introdotta dalla riforma Brunetta del 2009 (art. 4 legge n.15/2009 e d.lgs. n.198/2009 attuativo della riforma) in quanto la prima riguarda le lesioni dei diritti degli utenti in ambito contrattuale ed extracontrattuale, mentre quella di natura pubblicistica attiene al rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni. Correttamente il Collegio ha affermato, pertanto, che l'azione ex art.140 bis  del Codice del Consumo assicura una tutela risarcitoria in capo a tutti gli utenti che abbiano subito un pregiudizio alle loro pretese individuali ed omogenee, poiché essa si sostanzia in un'azione di condanna al risarcimento del danno svolgendo una funzione satisfattoria collettiva anche se limitata a coloro che vi abbiano aderito. Ed infatti, il procedimento conseguente alla proposizione dell'azione di classe inizia con una verifica di ammissibilità della domanda stessa, per presupposti e condizioni dell'azione, ma successivamente la selezione avviene sul principio dell'adesione, tale per cui la condanna finale al risarcimento del danno avrà effetti soltanto verso coloro che abbiano partecipato all'azione. La class action di natura “pubblicistica”, invece, “non ha natura satisfattoria diretta, ma mira a ricondurre l'azione della P.A. dei gestori del servizio pubblico entro i canoni di correttezza e buona amministrazione”. Conseguentemente gli utenti, sebbene promotori dell'azione, ricevono un soddisfacimento mediato e indiretto, poiché la condanna della P.A. in forma specifica, mira esclusivamente alla tutela primaria dell'interesse pubblico. Si tratta, evidentemente, di una tutela che non è costitutiva, né immediatamente satisfattoria verso i ricorrenti perché non c'è una condanna della P.A. ad un risarcimento del danno ma mira all'accertamento delle inadempienze della P.A. per ricondurre lo sua azione al rispetto dei canoni dell'art. 97 Cost..


Affermato tale assunto, invero abbastanza scontato, le ordinanze in esame proseguono poi con l’affermazione che “non vi è dubbio che l'azione di classe possa essere proposta anche nei confronti dei gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità (v. art 140 bis comma 12)”, con la sottolineatura che “del resto, l'espressione "impresa” contenuta nello stesso art.140 bis deve essere intesa in senso ampio e non ristretta alla necessaria realizzazione dello scopo di lucro (considerato che l'assenza di tale finalità non può escludere di per sè la possibilità di qualificare l'attività come imprenditoriale”.


Entrando nel merito della controversia collettiva il Collegio ha rilevato che lo stesso ente erogatore ha “segnalato la non conformità a taluni parametri di legge … di campioni d'acqua prelevati lungo gli impianti dell'acquedotto” e che, a seguito di tali accertamenti, il Comune, agendo a tutela della salute pubblica, ha vietato "l'uso e consumo dell'acqua a scopo potabile, in particolare l'uso dell'acqua come bevanda e per la preparazione dei cibi”. Tenuto conto di ciò il Collegio ha paradossalmente affermato che “la responsabilità del Comune in ordine ai fatti dedotti in lite non appare chiaramente ravvisabile” ma, nel contempo, che “sicuramente fondata, comunque, appare la domanda di condanna alle restituzioni (ex art.140 bis comma 2), non avendo le parti attrici potuto fruire totalmente del servizio idrico per i mesi di dicembre 2010 e gennaio 2011. La domanda, quindi, pur considerando i limiti di cui sopra, non può essere considerata manifestamente infondata”.


In buona sostanza il Tribunale di Roma, sbilanciandosi non poco quanto alla prognosi in iure circa la fondatezza della domanda collettiva, ha affermato che il Comune convenuto pur non essendo colpevole per l’inquinamento idrico potrebbe essere tenuto a restituire ai cittadini gli importi dei canoni pagati per circa due mesi di inquinamento delle acque in virtù del rapporto contrattuale esistente con i singoli utenti del servizio.
 

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Autore:


Claudio Belli, esercita la professione di avvocato a Roma ed è uno dei fondatori ed animatori dell’associazione nazionale Avvocati Giusconsumeristi Italiani. Si occupa professionalmente di diritto dei consumatori e degli utenti ed è autore di vari articoli in materia. È coautore di un Commentario al Codice del Consumo pubblicato nel 2008 e curatore del volume Le azioni collettive in Italia, pubblicato nel 2007 dalla Giuffrè. È esperto giuridico della Commissione Usi e della Commissione Contratti della Camera di Commercio di Roma, consulente di diretta collaborazione della presidenza nazionale ANACI (Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari), mediatore professionista e conciliatore di vari organismi privati e della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa.

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