Open Data: una soluzione possibile per migliorare i servizi pubblici locali?


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Il fallimento del cosiddetto “capitalismo municipale” in Italia  è cosa nota. In sede di spending review,  nel “Rapporto Cottarelli”, si fa rifermento esplicito all’esigenza di riforma delle municipalizzate che gestiscono i servizi a livello locale, formalmente private ma controllate in massima parte da un azionista pubblico. Anche la Corte dei Conti ci mette in guardia da questo “vulnus”, mentre la  sfera politica continua a generare forti pressioni sulla gestione di queste imprese, rendendo solo formale la separazione tra la programmazione dei servizi, la loro gestione e il controllo dei risultati, facendo sì che tali aziende  operino nel 38% dei casi in costante perdita. Inoltre, secondo l’AGCM, solo il 40% dei servizi di gestione dei rifiuti (raccolta e trasporto) e il 51% dei servizi di trasporto pubblico locale risultano affidati a seguito di una procedura ad evidenza pubblica.
Nel caso dei servizi pubblici locali sembra essersi generata ad oggi una sorta di “schizofrenia”: da una parte  le istanze liberalizzatrici e i tagli consistenti alle risorse degli enti locali voluti a livello nazionale, dall’altro l’approccio difensivo di comuni e province verso i monopoli esistenti, giustificato da esigenze  di consenso e di tutela dei livelli di occupazione sul territorio, che alimenta il disfattismo e l’immobilismo nei confronti di qualsiasi iniziativa di riorganizzazione industriale e di miglioramento dell’efficienza. È evidente che uno dei problemi di gestione di questa realtà sia soprattutto una questione di trasparenza e accountability, laddove la prossimità e la dimensione circoscritta dell’ambito di azione premetterebbero l’implementazione di meccanismi di maggiore partecipazione e controllo da parte degli stakeholder interessati, in primis i cittadini.


Il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, soprattutto a livello locale, risponde a urgenti necessità di riprogrammare e implementare le politiche pubbliche, spezzando il circolo vizioso della dipendenza assistenziale. In questo senso diviene centrale, per garantire efficacia e sostenibilità degli interventi sociali, attivare logiche partecipative e pro-attive. Tale cambiamento passa dal superamento della concezione atomistica e burocratica di pubblica amministrazione che deve riconfigurarsi piuttosto come soggetto al centro di un «sistema aperto», in continuo interscambio con l’ambiente. Ciò significa, anche per le società partecipate, ridisegnare le logiche produttive secondo un modello open,  basato sulla condivisione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini, realizzando un nuovo tipo di accountability.


La leva più importante di questo processo di trasformazione sono le politiche di Open Data, che mirano a rendere accessibili i dati prodotti dalla pubblica amministrazione attraverso il rilascio di data-set in formato aperto e interoperabile. Si tratta di “liberare” le cosiddette Public Sector Information (PSI), ovvero quei dati non personali o resi anonimi, che le pubbliche amministrazioni producono nello svolgimento dei loro compiti istituzionali. Gli Open Data sono uno snodo cruciale per stimolare modelli collaborativi tra istituzioni e comunità locali, possibili anche nell’ambito specifico di servizi come acqua, rifiuti, trasposto urbano, il cui fine non è solo quello di aumentare il controllo dell’operato delle municipalizzate, ma anche quello di contribuire allo sviluppo di nuovi servizi e applicazioni che integrino e potenzino quelli già offerti, secondo una logica di co-production.


Nella comunicazione della Commissione Europea “Dati aperti, un motore per l’innovazione, la crescita e una governance trasparente”, adottata nell’ambito della Strategia europea per l’Open Data, presentata nel 2011 da Neelie Kroes, commissario europeo per l’Agenda Digitale, si sottolinea come rendere disponibili e fruibili le PSI rappresenta anche un pre-requisito per la crescita economica dell’euro-zona e per l’efficienza e l’efficacia delle PA. Al 2013 ben il 56% dei paesi OECD hanno già definito una strategia nazionale sugli open data. Le economie liberali, in buona parte pioniere su tale fronte, come gli USA, mostrano il maggior numero di data-set pubblici “liberati” su un portale statale dedicato: è il Canada, con 188.921 data-set, il leader di questa classifica, seguito a distanza dal primo paese europeo, la Gran Bretagna, con 9.786 data-set resi disponibili. I paesi mediterranei si troverebbero, invece, in coda a questa classifica (es: Spagna: 944; Italia 347), vicini a paesi come il Messico o Israele.
Analizzando il catalogo nazionale dei data-set rilasciati in Italia, curato dal portale dati.gov.it, è possibile notare (vedi infografica) come le Pubbliche Amministrazioni che hanno già avviato iniziative di data disclosure nell’ambito dei servizi pubblici si stiano concentrando particolarmente su trasporti (530 data set rilasciati), energia (200 data set), acqua (148 data set) e rifiuti (98 data set). Decisamente minori sono invece i data set disponibili in formato open per ciò che attiene i servizi che riguardano gas/metano, telecomunicazioni e rete internet.


Sul tema della mobilità urbana, in particolare, si stanno sviluppando numerose iniziative che non si limitano solo al rilascio di dati aperti ma anche al loro riutilizzo, in molti casi attraverso lo sviluppo di mobile app finalizzate all’offerta servizi innovativi ai cittadini. Fra i numerosi esempi italiani: “Incidenti @Lecce” che permette di conoscere e visualizzare su mappa i dati (via, orario, tipologia, numerosità) sugli incidenti stradali avvenuti nel comune di Lecce; “ParcheggiaTO” che consente di verificare in tempo reale la disponibilità di posti auto all’interno dei parcheggi del Comune di Torino; “SASAbus” dedicata alle linee di trasporto locale di Bolzano; “Muoversi a Roma” sviluppata dall’Agenzia per la mobilità di Roma, dedicata a cittadini e turisti, permette di creare percorsi personalizzati tenendo conto della dislocazione dei mezzi pubblici e del traffico accedendo ad informazioni su viabilità, ZTL, linee urbane; oppure il caso di Decoro Urbano (www.decorourbano.org), una community nata dal basso in cui cittadini (ad oggi circa 2.928.379) dialogano con amministrazioni “aperte” (circa 115 comuni tra cui quello di Roma) inviando segnalazioni che contribuiscono a realizzare una grande banca dati che mostra in modo completamente trasparente le istanze dei cittadini e le risposte della pubblica amministrazione, anche agli utenti e ai comuni che ancora non aderiscono alla piattaforma.


È proprio attraverso modelli come questi che gli open data si propongono come nuova frontiera nella gestione dei servizi pubblici tra cittadinanza attiva e rivoluzione tecnologica, pilastri su cui devono fondarsi le future smart city su cui si concentreranno ingenti risorse economiche locali (private e pubbliche) e notevoli stanziamenti all’interno del programma europeo Horizon 2020 (circa 12 miliardi di euro).

 

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(Scritto in collaborazione con Davide Arcidiacono – Università degli Studi di Catania)

 

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Autore:


Giuseppe Reale è dottorando di ricerca in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Catania. Si è occupato di Responsabilità Sociale d’Impresa, sviluppo locale e tourism management. Ha collaborato con l’istituto di ricerca ISVI (Istituto di Formazione e Ricerca sui Problemi Sociali dello Sviluppo) di Catania e il centro studi SiTI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione) di Torino. Tra i suoi lavori “Responsabilità sociale d’impresa e welfare locale” (con D. Arcidiacono, Impresa Sociale n.3/2010) e “Open Government Data Systems in Europe between Innovation and Divide” (Atiner, 2014). Dal 2012 si occupa di formazione e aggiornamento professionale di operatori della P.A. con particolare riferimento alla diffusione della cultura della trasparenza, della valutazione e dei principi dell’open government.

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