Lo shopping online e l’impatto sui comportamenti di consumo in Italia


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Pur rappresentando un canale di crescente importanza non esiste una fonte statistica ufficiale che fornisca in modo continuativo informazioni sul commercio elettronico. Tra le diverse fonti che forniscono dati su questo fenomeno – spesso tra loro molto differenti per metodologia utilizzata e categorie merceologiche considerate – quella che consente di valutare l’evoluzione delle vendite online è rappresentata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, che annualmente predispone un rapporto sul tema dell’e-commerce.


Complessivamente le vendite online di beni e servizi stimate da questo Osservatorio nel corso dell’ultimo decennio sono passate da 2 (2004) a 11,3 miliardi di euro (2013): se si escludono le vendite di servizi (turistici, assicurativi) i valori sono rispettivamente di 0,9 (2004) e 5,3 miliardi di euro (2013). Si tratta di valori che certamente testimoniano una forte crescita delle vendite online avvenuta nel nostro Paese, ma che tuttavia sottolineano anche come il commercio elettronico abbia ancora un’importanza economica limitata.


Questa ridotta importanza dello shopping online in Italia si evidenzia con  maggior forza dal confronto con i principali paesi europei. Come mostra la tabella Tavola 8.1, il valore medio delle vendite di beni nell’Unione Europea a 27 paesi risulta pari al 3,5% del totale fatturato del commercio al dettaglio contro un dato italiano di circa l’1%.  Si tratta di una percentuale più bassa non solo della Francia (3,9%), della Germania (3,9%) e del Regno Unito (7,9%), ma anche della Spagna (1,4%); un peso che tuttavia è cresciuto nel corso dell’ultimo periodo, soprattutto per la forte contrazione delle vendite nel commercio fisico.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat (2012)

 

Diverse sono le ragioni alla base dell’attuale  minor importanza dello shopping online in Italia rispetto a quanto avviene nei principali europei.

 

Una prima ragione, di carattere generale, è legata al fatto che l’elevata capillarità della rete di vendita esistente fornisce un livello di servizio commerciale al consumatore italiano in termini di prossimità – e di potenziale disponibilità immediata dei beni – tale da rappresentare un elemento di evidente svantaggio competitivo dell’e-commerce rispetto al commercio fisico. A questa si possono aggiungere alcune considerazioni che riguardano sia fattori connessi alla domanda che all’offerta.

Innanzitutto, occorre sottolineare, come la percentuale delle famiglie italiane che utilizza una connessione Internet sia più bassa rispetto a quella delle altre famiglie europee, e analoga considerazione può essere fatta anche con riferimento all’accesso alla banda larga. Come sottolineato in una recente ricerca compiuta a livello europeo, solo il 49% delle famiglie italiane possiede un accesso alla banda larga contro il 61% della media europea, il 67% della Francia e il 75% della Germania.
 

In secondo luogo occorre aggiungere che risulta differente il comportamento di acquisto dei consumatori italiani rispetto a quello dei  colleghi europei. Se in media negli ultimi dodici mesi sia i consumatori italiani che quelli europei hanno acquistato online su siti domestici beni per circa 1.000-1.100 euro – con modeste variazioni tra i diversi paesi – i dati risultano assai differenti con riguardo agli acquisti online da siti stranieri. Gli italiani, infatti, comperano beni dai siti stranieri in misura di quasi il 40% superiore al dato medio europeo (962 contro 693 euro), con percentuali ancora più elevate rispetto a Francia e Germania.
Questo comportamento di acquisto sembra essere direttamente riconducibile al secondo aspetto, vale a dire a fattori legati alla non adeguatezza dell’offerta online delle imprese italiane. Dall’esame delle motivazioni che spingono i consumatori italiani a realizzare acquisti da siti stranieri la stessa ricerca evidenzia, infatti, come il 63% ritiene che i prodotti venduti siano meno costosi, il 54% che i beni non siano disponibili nel paese in cui abita, il 22% che esista una maggiore varietà di scelta e il 14% che offrano una maggiore qualità dell’offerta.

 

Limitarsi ad analizzare il commercio elettronico solo dal punto di vista della sua importanza economica in termini di vendite realizzate online, risulta però limitativo rispetto al più generale impatto che la presenza di questo canale – nelle sue dinamiche plurali e innovative – ha determinato nel comportamento di acquisto dei consumatori e nello stesso modello di business dei distributori fisici. Nel corso dell’ultimo decennio lo sviluppo del commercio elettronico – e la pluralità di nuovi strumenti di comunicazione che l’innovazione tecnologica ha messo a disposizione – ha, infatti, avviato una  profonda modificazione del processo di acquisto favorendo sempre più comportamenti di integrazione dei diversi strumenti informativi (affissioni tradizionali, comparatore dei prezzi online, catalogo a stampa, marketplace online). Sia nel caso in cui l’acquisto venga realizzato direttamente su un sito sia che avvenga in punto di vendita fisico, il consumatore ha rivisitato il suo modo di acquisire informazioni sui beni, combinando – seppur con pesature differenti – il rispettivo ruolo dei due canali di vendita e favorendo un processo di crescente integrazione.   

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Autore:


Luca Zanderighi è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Facoltà di Scienze Economiche Politiche e Sociali dell’Università degli studi di Milano. Laureato in Economia Politica all’Università Bocconi, ha insegnato per molti anni in quella stessa università, dove ha svolto attività di ricerca presso il Centro Studi sul commercio (Cescom). Ha pubblicato numerosi lavori, sia a livello nazionale che internazionale, con particolare riferimento a tematiche relative al ruolo del commercio nell’economia e alle relazioni tra imprese, e svolge un’intensa attività di collaborazione con diverse istituzioni italiane e internazionali. E’ cofondatore della società di ricerca e consulenza TradeLab.

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