Per uno sviluppo adeguato dell’industria digitale dei contenuti oltre l’alibi della pirateria


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Il Joint Research Centre della Commissione europea ha pubblicato uno studio che esamina l'impatto della pirateria sulle vendite legali di musica digitale concludendo che la pirateria digitale non dovrebbe essere più considerata come una seria preoccupazione per i right owners. La relazione respinge infatti nettamente l’assunto ormai consolidato e promosso dall'industria musicale secondo il quale ciò che viene consumato illegalmente sarebbe stato acquistato sul mercato legale se i canali “illegali” non fossero stati disponibili. Secondo il Joint Research Centre uno degli effetti del consumo di musica “illegale” potrebbe al contrario anche essere addirittura quello di stimolare il consumo legale di musica.
In realtà non si tratta del primo studio in questo settore ad arrivare a tali conclusioni ma è in effetti la prima volta che sia un’Agenzia dell'Unione europea ad argomentare che la pirateria digitale non è necessariamente un male per l'industria musicale.

L'impatto della pirateria musicale sulle vendite legali di musica è stata ampiamente studiata nella letteratura empirica ma, al di là della spesso carente indipendenza dei soggetti che hanno sviluppato tali studi rispetto agli interessi dell’industria di settore, un altro aspetto discutibile è che ci si è concentrati principalmente sulle vendite di musica legale, sotto forma di CD fisici. Minore attenzione è stata invece dedicata all'effetto che il consumo di musica illegale ha sulle vendite legali di musica digitale ed è proprio su questo che si concentra opportunamente lo studio del Joint Research Centre, analizzando il comportamento dei consumatori di musica digitale su Internet. Attraverso l’esame del clickstream di un panel di oltre 16.000 consumatori europei, i ricercatori hanno valutato gli effetti del download illegale e dello streaming legale sugli acquisti legali di musica digitale.

I risultati suggeriscono che gli utenti Internet non percepiscono il download illegale come un sostituto dell’acquisto di musica digitale legale. Ciò significa che, anche se vi è una violazione del diritto d'autore, è improbabile che questo provochi un danno ai ricavi da musica digitale. I servizi musicali online in streaming si trovano ad avere invece un impatto, anche se non di grande rilievo, sugli acquisti digitali di musica suggerendo complementarità tra queste due modalità di consumo.

Per coloro che, come chi scrive, si sono cimentati – e con successo – nel contrastare la proposta presentata dal precedente Consiglio AGCOM volta a rafforzare in Italia l’enforcement del diritto d’autore anche sulla base del fatto che non era stata sviluppata dall’Autorità nè commissionata ad un soggetto indipendente una valutazione economica dell'impatto negativo che produce effettivamente il file sharing non commerciale sull’industria musicale, questo studio del Joint Research Centre della Commissione europea risulta di estremo interesse.

Il nuovo Consiglio AGCOM ha recentemente annunciato di voler riprendere in esame un intervento in materia di diritto d’autore, appare dunque auspicabile che, anche alla luce dei risultati dello studio in esame, sia rigettata l’ipotesi di rafforzare con strumenti peraltro di dubbia legittimità l’enforcement e ci si concentri invece su una riforma del diritto d’autore volta a rimuovere le assurde ed obsolete barriere che limitano ancora un pieno sviluppo dell’offerta in ambiente digitale quali le finestre di distribuzione e l’interoperabilità delle piattaforme, oltre che a riconoscere più ampiamente le libere utilizzazioni nel contesto digitale ed a promuovere nuovi modelli di business innovativi e consumer-friendly.

“Quella del confronto del mondo del copyright con l’ambiente digitale è stata più una triste storia di resistenza luddista che un esempio di impegno intelligente” – a sostenere qualche tempo fa con estrema chiarezza questa tesi non è stato un “pirata” qualsiasi ma addirittura Francis Gurry, il Direttore Generale di WIPO, World Intellectual Property Organization
Come abbiamo già avuto modo di argomentare nelle pagine di Consumatori Diritti e Mercato  “Internet e, ancora di più il web 2.0, hanno reso di fatto obsoleti una serie di modelli di business consolidati ma, per un altro verso, hanno aperto incredibili, nuove prospettive economiche e imprenditoriali. Colpita da questo classico esempio di disruptive technology, che cosa poteva fare l’industria dell’audiovisivo? Difendere le proprie posizioni di rendita o aprirsi al futuro: ha scelto la prima strada. Che cosa poteva fare la politica? Accompagnare e stimolare l’industria dell’audiovisivo verso il futuro o proteggerla nel business del passato. Ha scelto decisamente la seconda strada, anche perché, per molti aspetti, significava anche proteggere sé stessa. Quale risultato, negli ultimi dieci anni, nel corso dei quali abbiamo continuato a raccontarci che il solo problema della distribuzione dei contenuti online era costituito dalla pirateria telematica, all’insegna della sconfitta del diritto e del mercato, abbiamo assistito a un vero e proprio abuso della proprietà intellettuale. Questo abuso si è manifestato, da una parte, in forme eccessive di enforcement, invasive di altri diritti fondamentali, come la libertà di manifestazione del pensiero, il giusto processo, la privacy e l’accesso alla cultura e all’informazione, dall’altra nel forzoso mantenimento in vita di modelli di gestione collettiva dei diritti d’autore su base nazionale e, in quanto tali, oltre che antieconomici, apertamente lesivi dei principi del mercato interno e della concorrenza dell’Unione europea. La chiusura iniziale poteva essere comprensibile, ma insistere rischia di diventare preoccupante: perseverare diabolicum est”.

Perseverare appare ora doppiamente diabolico, sarebbe infatti un vero peccato se, nel momento in cui, almeno per quanto concerne il segmento della musica, si stanno finalmente cominciando a sperimentare con successo – come dimostrato dallo stesso studio del Joint Research Centre della Commissione europea - nuove forme di distribuzione digitale e business models innovativi intesi a soddisfare le esigenze e la domanda forte del consumatore digitale, ci si ostinasse per altro verso, rispondendo a un richiamo quasi ancestrale, a concentrare sull’enforcement quando è, al contrario, di tutta evidenza che un fallimento di mercato non si può che risolvere con strumenti di mercato. La lezione ormai forse finalmente appresa dall’industria musicale dovrebbe essere fatta propria senza attendere altri dieci anni anche da quella del cinema e dell’editoria.

 

 

 

 

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Responsabile delle Relazioni Istituzionali per Altroconsumo, coordina le attività di advocacy dell’associazione: esposti, denunce e segnalazioni alle Autorità competenti.

0 Risposte a "Per uno sviluppo adeguato dell’industria digitale dei contenuti oltre l’alibi della pirateria"

  1. Enzo Mazza scrive:

    [...] E’ difficile quindi, di fronte a questa immensa offerta, con così diverse opzioni e caratteristiche innovative, peraltro sviluppate nell’ambito dell’attuale scenario normativo delle leggi sul diritto d’autore, che non sono assolutamente un limite allo sviluppo tecnologico, accettare un’analisi così superficiale come quella messa in campo dal Joint Research Centre della Commissione europea e citata anche nell’articolo “Per uno sviluppo adeguato dell’industria digitale dei contenuti oltre l’alibi della pirateri…”. [...]

  2. [...] se per una volta si guardasse dalla prospettiva dei consumatori e dei servizi a loro offerti? E se gli studi si facessero prima e non dopo aver creato leggi e [...]

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