Attualità e riforma della giustizia amministrativa


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E’ tornata di recente a farsi sentire nel dibattito politico e dottrinale la voce di coloro che vorrebbero superare il sistema della giustizia amministrativa e nel contempo ridimensionare l’ambito del diritto amministrativo.  Facendo un po’ di tutta l’erba un fascio si accomuna nella polemica la censura verso un tipo di giudici che si percepiscono come invadenti rispetto alla sfera della politica e dell’amministrazione e quella contro le inefficienze e gli sprechi della pubblica amministrazione.


Vagheggiando un potente vento che spazzi via tutto ciò che impedisce lo sviluppo ed il libero dispiegarsi delle energie sociali, non si va tanto per il sottile e si pensa che anche i giudici dei Tar come quelli del Consiglio di Stato non siano presidi di legalità e di tutela per i cittadini ma null’altro che difensori di privilegi e del “dis-ordine” costituito.

 
Una prima osservazione da farsi è che certamente esiste una giustizia amministrativa, come sistema tendenzialmente unitario ed organico di rimedi giurisdizionali contro gli atti e i comportamenti delle pubbliche autorità, perché esiste un diritto amministrativo: cioè un “sistema”, che anch’esso dovrebbe essere tale, di norme e di principi che consentono di indirizzare l’azione delle pubbliche amministrazioni verso i fini indicati dalle norme stesse e di far operare il canone principale dell’azione pubblica, quello di realizzare l’interesse generale con il minimo sacrificio possibile per le libertà e gli interessi dei singoli cittadini. Diceva già nel ‘700 Cesare Beccaria che “ogni atto di autorità che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico”. E’ questa assoluta necessità non può che essere vagliata alla luce della legge e di quei canoni di buona amministrazione che sono oggi presidiati, in primo luogo, dalla Carta costituzionale e dall’ordinamento comunitario. Né si può dire che, come invece anche una parte della dottrina giuridica contemporanea sostiene, che il potere, anche quello amministrativo, è espressione di libertà e come tale non è controllabile in alcun modo, come non sono controllabili i poteri dei privati. La libertà dell’amministrazione è sempre vincolata nei fini, ed è quindi non vera libertà ma piuttosto discrezionalità, da esercitare nell’ambito di un procedimento amministrativo da condurre in contraddittorio con i destinatari dell’atto ed assicurando loro, fin dall’avvio del medesimo, ampie facoltà di informazione e partecipazione.
Sono queste differenze “ontologiche” tra l’agire amministrativo e l’agire dei privati che richiede e giustifica un ordine specializzato di giudici, che a differenza di quelli ordinari non è preposto ad assegnare un bene della vita e quindi a tutelare diritti soggettivi, ma specificatamente gli interessi legittimi che sono appunto null’altro che la rappresentazione della tutela che le regole procedimentali gli offrono nei confronti del potere amministrativo nel suo svolgersi. Proprio l’interesse legittimo sarebbe la vera vittima della scelta di fare il giudice civile giudice anche dell’azione amministrativa discrezionale, come già del resto avvenne a seguito della legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865.


L’effettività del diritto fondamentale alla buona amministrazione presuppone la sua azionabilità attraverso un sistema di tutele adeguate e quindi specifiche per i cittadini : sicché appaiono ingiustificate ed anche pericolose le critiche ciclicamente indirizzate da esponenti politici di varia estrazione al sistema italiano di giustizia amministrativa per le sue pretese eccessive incisività ed invadenza rispetto alle scelte decisionali amministrative, dato che, semmai, il problema è esattamente quello opposto:  di rendere ancor più effettiva e incisiva la giustizia amministrativa.


Su questo fronte molto si può fare. Un primo tema è quello dell’accessibilità: economica, in primo luogo. Occorre certamente ridimensionare una tassazione dei ricorsi a livelli di esosità che denota intenti chiaramente e abusivamente deflattivi del contenzioso. Va ripensato il sistema dell’appello, oggi scarsamente praticato, collocandolo a livello di TAR per le controversie più semplici o creando delle sezioni interregionali del Consiglio di Stato. Interessanti proposte sono venute da alcuni magistrati circa l’istruttoria monocratica ed altri spazi di miglioramento possono senz’altro venire dall’uso intelligente delle tecnologie informatiche.


Non andrebbe poi dimenticato che il principale problema del contenzioso amministrativo – e forse non solo di questo – è la difficile prevedibilità delle decisioni, che impedisce anche agli avvocati di svolgere un’adeguata azione di filtro delle liti. Tale imprevedibilità è frutto dello stato della legislazione, che ha raggiunto livelli di quantità e qualità assolutamente inadeguati, rispettivamente in eccesso e in difetto. Se la legge è cattiva ed oscura, qualsiasi interprete è messo da un lato in difficoltà e, dall’altro, acquisisce un’eccessiva libertà di sostituire la propria volontà a quella della legge.
 

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Autore:


Avvocato cassazionista, opera nel campo del diritto amministrativo, con particolare esperienza nei settori urbanistico ed ambientale, della sanità, dei pubblici servizi, dell’informazione nel settore pubblico. Giornalista pubblicista, collabora con il quotidiano Il Sole 24 Ore. Dottore di ricerca e professore a contratto presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (LIUC).

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