Pubblica amministrazione: ci vuole un codice


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1. Venti anni di semplificazione “complicata”


Semplificazione amministrativa: tutti la chiedono o la promettono, ma nessuno ancora ha trovato come farla davvero. Eppure qualche modo si dovrà trovare, se è vero che questo fattore è quello che maggiormente penalizza il nostro paese nel contesto internazionale. Vediamo di trovare il bandolo di questa matassa.

Forse lo si può trovare osservando cosa è successo della Legge n. 241 del 1990 , che ha rappresentato il  tentativo di adeguare, finalmente,  l'agire della pubblica amministrazione ai principi costituzionali, primo fra tutti quello del buon andamento e dell'imparzialità. Sul piano dei principi e dei principali strumenti per metterli in atto, in quella legge sono contenute disposizioni certamente fondamentali. Pensiamo soltanto agli obblighi di conclusione del procedimento in tempi certi e alla possibilità di avere un contraddittorio con il responsabile  del procedimento prima che la decisione sia assunta. Altrettanto fondamentali sono le previsioni sulla conferenza dei servizi e sulla trasparenza.

Ma tutto questo non è stato sufficiente e dobbiamo quindi chiederci come mai. La prima ragione è , a mio avviso, che questa legge ha perso  quasi subito il suo essere "generale", nel senso che in questo ventennio troppe disposizioni particolari, relative a singole materie o a determinati livelli di amministrazione (es. locali o regionali) si sono discostate da quei principi, creando una babele di procedimenti. Anzi è stata proprio la voglia di semplificare ad aver favorito la prolificazione di tante e troppo diversificate regole sull'agire della pubblica amministrazione.

 

2. Una possibile ricetta: recuperare una disciplina generale e avere un vero responsabile del procedimento


Oggi si sente il bisogno di avere un codice della procedura amministrativa vincolante per tutti gli uffici, che stabilisca in modo chiaro e valido in tutti i casi, quali siano le regole del gioco e come deve essere presa una decisione amministrativa. Le norme di questo codice devono avere una forza giuridica rafforzata, in parte anche con una modifica della costituzione, in modo che non sia possibile da parte di una qualsiasi pubblica autorità, fosse anche una regione autonoma, sottrarsi al suo rispetto e dettare norme particolari. La materia della procedura amministrativa deve poi essere preclusa alle stesse autorità amministrative, nel senso che deve escludersi che siano esse stesse a porre disposizioni regolamentari, comunque denominate (regolamenti o circolari), per regolare i rapporti con il cittadino.

Quest'ultimo deve avere la garanzia del rispetto di quelle regole del gioco, avanti qualsiasi ufficio pubblico ed in ogni circostanza. Questo codice amministrativo deve essere conformato, in primo luogo, al principio della responsabilità e della personalizzazione dell'agire pubblico, già presente nella legge n. 241 del 1990, ma in forma troppo blanda. Occorre che ogni pratica sia messa fin dal suo avvio nelle mani di un funzionario, il cui nominativo sia noto agli interessati e al pubblico, che abbia tutti i poteri per portarla a compimento nei tempi previsti. Il modello deve essere quello del "commissario ad acta", che oggi viene in gioco solo quando si è già avuto un contenzioso davanti al giudice amministrativo e si tratti di attuare una sentenza. Il funzionario-commissario deve subito convocare la conferenza di servizi, richiedendo tutti i pareri necessari e facendo emergere tutti i profili problematici da trattare e risolvere. Egli deve avere tutti i poteri strumentali per la conduzione della procedura e per poter assumere la decisione finale, essendo principalmente ed esclusivamente nella sua responsabilità il rispetto dei tempi.

Troppo potere? Certamente qualcuno farà questa obiezione. Ma è un prezzo da pagare per avere una pubblica amministrazione del tutto simile alle imprese, nel quale vi è sempre un decisore. Il tema vero poi sarà il reclutamento e la formazione di personale all'altezza del compito e la messa in campo di sistemi adeguati di controllo e di tutela nei confronti delle decisioni sbagliate o poste in essere in violazione della legge. Perché dobbiamo anche ammettere che in questi ultimi venti anni un altro grave errore che in nome della semplificazione amministrativa è stato commesso: quello dello smantellamento del sistema dei controlli. Certo nessuno invoca un ritorno del vecchio e quindi la previsione di una miriade di passaggi burocratici che vanifichino l'azione del responsabile-commissario, ma è indiscutibile che le sue decisioni devono poter essere oggetto di un controllo adeguato, sia in sede amministrativa che giurisdizionale. Anche in questo caso assicurando tempi certi e parametri di riferimento puntuali, evitando duplicazioni di procedure ed ambiti eccessivi di discrezionalità o autoreferenzialità.

 

3. Anche una rinnovata giustizia amministrativa è indispensabile


Per quanto riguarda specificamente il sistema di giustizia amministrativa, ora che il diritto alla buona amministrazione è stato riconosciuto come diritto fondamentale dall'ordinamento comunitario, appare del tutto improponibile l'abolizione sic e simpliciter dei TAR e del Consiglio di Stato, come anche la recente proposta di Renzi di eliminare la c.d. sospensiva (mentre è chiaro che senza rimedi cautelari la risposta della giustizia amministrativa perderebbe di efficacia e di tempestività). Piuttosto bisogna preoccuparsi di rivedere un codice del processo amministrativo recentemente riformato in un ottica di pura conservazione dell'esistente, intervenendo ben più  in profondità per realizzare un giudizio accessibile e diffuso su tutto il territorio nazionale e in cui i giudici operino nel pieno rispetto dei canoni del giusto processo di cui al nuovo articolo 111 della Costituzione. Il che comporta, in primo luogo, una scelta sul sistema dell'appello e sul ruolo del Consiglio di Stato, nonché sul regime delle incompatibilità dei giudici.

Insomma occorre porre mano ad una riforma organica della pubblica amministrazione, che ponga al centro i suoi interlocutori principali, quindi il cittadino e l'impresa, dotando tutti gli attori di poche e chiare regole fondamentali e facendo si che a fronte della loro violazione ci sia un giudice competente ed indipendente che possa porvi rimedio in tempi rapidi e a costi accettabili. Solo per questa via, certamente non agevole, la proposta di una "destinazione Italia" potrà essere qualcosa di più di uno slogan del momento.

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Autore:


Avvocato cassazionista, opera nel campo del diritto amministrativo, con particolare esperienza nei settori urbanistico ed ambientale, della sanità, dei pubblici servizi, dell’informazione nel settore pubblico. Giornalista pubblicista, collabora con il quotidiano Il Sole 24 Ore. Dottore di ricerca e professore a contratto presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (LIUC).

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