Ambiente urbano e consumo di suolo: il recupero dei sottotetti a fini abitativi


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Il suolo è una risorsa fondamentale per l’equilibrio del nostro ambiente, per la salute, per la salvaguardia degli ecosistemi naturali e della biodiversità, per le produzioni agricole e zootecniche e quindi per la nostra alimentazione e la nostra salute, per contrastare il pericolo di dissesto idrogeologico, per poter mantenere intatti i beni artistici, ricchezza del nostro Paese.


Tuttavia è purtroppo diventato evidente che il consumo di suolo avanza, soprattutto a causa di attività poco sostenibili e irrispettose dell’ambiente e questo provoca erosione, contaminazione, desertificazione e mina la bellezza del paesaggio. 


Il nostro Paese ha un livello di consumo di suolo tra i più alti d’Europa, causato dall’aumento degli agglomerati cittadini in aree a rischio dal punto di vista ambientale e territoriale e questo porta ad un aumento della percentuale di impermeabilizzazione e dei dissesti idrogeologici connessi.


Con il documento e l’introduzione della direttiva NZEB – Net/Near Zero Energy Buiding “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”, la Commissione Europea ha recentemente posto l’attenzione all’eccessivo consumo di suolo in tutta Europa.
Ogni Stato membro dovrà considerare le conseguenze e i rischi derivanti dall’uso dei terreni entro il 2020, con il raggiungimento di un incremento dell’occupazione di terreno pari a zero entro il 2050.
La riduzione del consumo del suolo diventa, quindi, insieme alla messa in sicurezza del territorio, una priorità anche per l’Italia.


Nel nostro Paese, la normativa vigente relativa alla cosiddetta “difesa del suolo” (D. Lgs. 152/06 “Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche”) si basa sulla protezione del territorio dai fenomeni di dissesto idrogeologico più che sulla conservazione del suolo. Negli ultimi anni però sono state predisposte numerose proposte per la gestione sostenibile e la salvaguardia del territorio, tra cui molte indirizzate proprio al contenimento del consumo di suolo, con la salvaguardia delle aree agricole e naturali e l’incentivo al riuso e alla cosiddetta rigenerazione di territori già urbanizzati.


Il recupero dei sottotetti e dei solai può essere una risorsa utile per perseguire l’obiettivo di una riduzione del consumo di suolo e per la gestione del territorio verso una dimensione più sostenibile.
Recuperare o trasformare un vecchio solaio in uno spazio abitativo è una possibilità acquisita in tutta Italia: nel nostro Paese qualche anno fa è stato emanato il cosiddetto Piano Casa (Conferenza Unificata, provvedimento del 01.04.2009, in G.U. del 29.04.2009), provvedimento normativo rimasto in vigore in 16 Regioni, anche attraverso l’incorporazione in altri provvedimenti normativi.


Sulla base di questo accordo con lo Stato, le Regioni hanno stabilito leggi per permettere l’ampliamento della cubatura delle abitazioni fino a un massimo del 20%. In alcuni casi è stato disciplinato il recupero dei sottotetti inutilizzati e del costruito, anche in considerazione degli obiettivi legati al contenimento del consumo del suolo e della rigenerazione urbana.
Il tema è stato molto dibattuto nel recente passato ed è, per certi versi, controverso.


Nel particolare contesto urbanistico italiano, costituito da una trama di città storiche in cui la conservazione dell’ambiente costruito di rilievo architettonico è fortemente collegata alla conservazione dell’identità culturale, non sempre gli strumenti di trasformazione del panorama edilizio sono stati accolti con favore.
La questione può essere considerata da vari punti di vista, sia valutando l’aspetto urbanistico e di tutela dell’ambiente che il rapporto tra privati.


Il rapporto tra privati rileva e diventa fondamentale nel frequente caso in cui il sottotetto da trasformare si trovi, come spesso accade nei centri urbani, in un immobile in condominio.


Non sempre la modifica della destinazione d'uso del sottotetto si traduce in una sopraelevazione.
Perché si possa parlare di sopraelevazione, l’intervento edilizio deve essere effettuato sopra un fabbricato già esistente con aumento della superficie di ingombro e della volumetria, mentre, nel caso di modificazione solo interna, contenuta negli originari limiti strutturali delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura, non si configura una sopraelevazione perché mancherebbero le nuove opere nell'area sovrastante il fabbricato (Cassazione sentenze n. 8954/00 e 6809/00).


In questa prospettiva, l’articolo 1127 Codice  Civile offre ai condomini che si trovano all’ultimo piano la possibilità di sopraelevare, cioè realizzare nuove porzioni immobiliari, senza necessità di ottenere una formale autorizzazione dal condominio, salvo che risulti diversamente dal titolo o dal regolamento contrattuale del condominio stesso. La medesima possibilità spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. In pratica, vi è la possibilità di creare nuove unità immobiliari che, per il semplice fatto della loro costruzione, entrano a far parte del condominio. La sopraelevazione non è però ammessa se le condizioni statiche dell'edificio mettono a rischio la sua stabilità. I condomini possono opporsi alla sopraelevazione anche se questa pregiudica l'aspetto architettonico dello stabile o se fa diminuire notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.


Se al di sopra dell’ultima unità abitativa c’è un lastrico solare in proprietà privata, il diritto di sopraelevare spetta al suo titolare e non al proprietario dell’ultimo piano. Se il lastrico solare è comune, i condomini non hanno invece diritto di sopraelevare. Inoltre, il diritto di sopraelevare può essere attribuito anche a un soggetto che non abbia la proprietà di alcun immobile nell’edificio. D'altra parte, in applicazione di un titolo contrario, la facoltà di sopraelevare può essere del tutto esclusa, sia per il proprietario dell’ultimo piano, sia per quello del lastrico solare esclusivo.


Occorre precisare che l’articolo 1127 Cod Civ prevede che «chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova costruzione, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare e detratto l’importo della quota a lui spettante». L’obbligo trova fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva.


Il condomino che ha la proprietà dell'ultimo piano o del lastrico solare ha quindi un vero e proprio diritto di sopraelevare se il suo intervento non si traduce in un danno per il fabbricato e, d'altra parte, la giurisprudenza ammette senza difficoltà tali opere quando anche risultino avere un impatto sui beni comuni che siano edilizi (tetto o facciata), come pure impiantistici (Cassazione sentenza n. 14107/12).


Quando anche non si tratti di sopraelevazione, ma di modifiche solo interne, i condomini non hanno diritto a pretendere dall'interessato alla modifica del sottotetto l'indennità di cui all'art. 1127 Cod Civ, ma resta il principio per cui le modifiche in questione non possono essere impedite, salvo divieti espliciti contenuti nel regolamento contrattuale di condominio, perché le opere sono eseguite all'interno di una parte del fabbricato di proprietà privata. Il nuovo art 1122 Cod Civ è chiaro in questo senso e dispone che ognuno possa eseguire nell'unità immobiliare di proprietà esclusiva quelle opere che non si traducono in un danno alle parti comuni ovvero siano di pregiudizio alla stabilità, sicurezza o decoro architettonico dell'edificio, fatto salvo comunque – ed è una novità introdotta dalla legge di riforma del condominio – l'obbligo di notiziare preventivamente l'amministratore.


Qualora l'esecuzione di opere da parte di un condomino anche finalizzate allo sfruttamento a fini abitativi di un sottotetto coinvolga in qualsiasi modo le parti comuni (tetto, facciata), l'esecuzione di tali opere affronta un doppio percorso: uno riguarda il rapporto tra i privati proprietari delle parti comuni, l'altro riguarda il rapporto con la Pubblica Amministrazione.


Il rapporto con la Pubblica Amministrazione è decisamente complesso anche in relazione al rapporto tra privati, perché tante volte gli Enti Locali pretendono che l'interessato dimostri di aver conseguito una formale approvazione dall'assemblea, quando anche tale approvazione non sarebbe prevista né dalla legge, né dal regolamento di condominio.


Questo aspetto è molto importante perché, peraltro, il Codice Civile in materia condominiale non esplicita la soglia di maggioranza minima necessaria in tali casi, per cui spesso chi è interessato alle opere in questione si trova in una situazione di estrema incertezza che assume una rilevanza del tutto particolare, in quanto in questo caso non si tratta di affrontare una discussione solo interna, come accade di solito in ambito condominiale, ma, essendo in gioco il rapporto con la Pubblica Amministrazione, il rischio è quello di vedersi negare da quest'ultima la possibilità di eseguire le opere in questione.
Il tema è stato ampiamente dibattuto.


La Giurisprudenza del Consiglio di Stato non è apparsa inizialmente favorevole.
In tempi recenti, infatti, il Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza del 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha chiarito che non è seriamente contestabile che, nel procedimento di rilascio della concessione edilizia, l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimità – o non – della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 Cod Civ, delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento.  (sentenza di TAR Campania Sez II del 07.06.2013 n. 3019).


Nel corso del tempo si è però affermata una giurisprudenza decisamente più favorevole.
Il TAR Veneto Sez II (sentenza del 04.04.09 n. 1198) e il TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez I  (sentenza del 24.03.09 n. 221) hanno sostenuto che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 del DPR 380/2001 specifica, il permesso di costruire non incide sulla proprietà o altri diritti reali e non comporta limitazione dei diritti dei terzi.


“Non è infatti necessario richiedere il previo assenso del condominio interessato ovvero degli altri condomini, in caso di realizzazione di un'opera da parte di un singolo sulle parti comuni di un edificio se l’opera medesima sia strettamente pertinenziale alla sua unità immobiliare” (in TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez I  sentenza del 24.03.09 n. 221).
La nuova recente sentenza del TAR Lombardia Sez. I Brescia (sentenza del 02.12.2014 n. 1308) aggiunge ulteriori spunti.


Secondo tale recente giurisprudenza amministrativa, la PA competente potrebbe/dovrebbe valutare la presenza del consenso dei condomini alle opere di interesse del singolo, sulla base del principio per cui i titoli abilitativi edilizi impongono all’amministrazione di verificare la legittimazione del richiedente e con essa anche la sussistenza di diritti di terzi che la escludano, ma se tale consenso manca, non si dovrebbe negare a priori la possibilità all'interessato di realizzare l'opera, bensì si dovrebbe verificare se potrebbero esistere validi motivi di diniego in base alle caratteristiche intrinseche dell'opera stessa.


In ogni caso, il primo passo per chi vuole rendere abitabile un locale sottotetto o una vecchia mansarda è consultare bene la legge regionale di appartenenza. Talvolta, peraltro, la Regione delega al Comune la regolamentazione del settore.


Al di là delle particolarità territoriali, esistono, però, alcune condizioni di base che ovunque ricorrono. Prima di tutto occorre dimostrare che la casa era già esistente, cioè che non si tratta di una nuova costruzione.
Per rendere abitabile un sottotetto, occorre inoltre avere a disposizione un'altezza minima: in alcune Regioni sono permesse significative riduzioni e talvolta è consentito l'innalzamento della linea di colmo o l'appiattimento della pendenza delle falde per recuperare la cubatura utile a raggiungere le altezze minime.
Per vivere in un sottotetto bisogna anche che questo sia sufficientemente aerato e adeguatamente illuminato: i rapporti aeroilluminanti possono essere talvolta anche fortemente ridotti dalla normativa locale rispetto a quanto previsto a livello nazionale.


Ci sono dei limiti anche nella destinazione d’uso: la mansarda può essere abitabile, ma in alcune Regioni non va usata come ufficio o negozio e solo raramente è ammesso l'uso ricettivo dei sottotetti. Non sempre, terminato il recupero, si può poi creare dal sottotetto una nuova unità abitativa.


In molte Regioni, inoltre, gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se portano alla realizzazione di nuove unità immobiliari, comportano il reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali, nella misura prevista dagli strumenti di pianificazione comunale e con un minimo di un metro quadrato ogni dieci metri cubi della volumetria resa abitativa ed un massimo di venticinque metri quadrati per ciascuna nuova unità immobiliare. Diversamente, occorre versare al Comune una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire.


Concludendo, il recupero a fini abitativi dei sottotetti, se applicato in modo corretto, può essere un efficace strumento per la salvaguardia del nostro ambiente, attraverso la riduzione del consumo di nuovo territorio.
Può essere un modo di riqualificare i nostri condomini, limitando l’intensificarsi di nuove costruzioni e il congestionamento dei centri urbani.

 

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Autore:


Antonio Romano Consulente e formatore, esperto in normativa a tutela dei consumatori e di applicazioni pratiche di normativa condominiale. Si occupa di gestione e qualità dell’ambiente costruito, applicazioni di normativa relativa al condominio e agli edifici, di edilizia “sostenibile”. Collabora dal 1996 con l’associazione di consumatori Altroconsumo come consulente. E’ presidente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Sesamo Amministratori. Collabora dal 2003 con l’associazione ASPPI Associazione Piccoli Proprietari Immobiliari di Milano alla direzione dei corsi per amministratori di condominio in cui svolge anche il ruolo di docente. Collabora come docente con Centri di Formazione Professionale in corsi di formazione sui temi dell’edilizia verde e della tutela dei consumatori. E’ autore di numerosi articoli su blog e riviste specializzate. Fiorella Cima Esperta di formazione, didattica e progettazione di percorsi formativi nelle aree della comunicazione ambientale e green jobs E’ membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Sesamo Amministratori. Collabora dal 2004 con l’associazione ASPPI (Associazione Piccoli Proprietari Immobiliari) di Milano alla pianificazione e all'organizzazione delle attività formative. Collabora con Centri di Formazione Professionale alla progettazione, docenza e tutoring di corsi in distance learning e in presenza. E’ autrice di numerosi articoli su riviste e blog specializzati sulla sostenibilità in condominio, sulla edilizia verde e sui consumi sostenibili.

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