Garanzia a prova di obsolescenza


Share on LinkedIn

 

Fino ad oggi ci siamo interrogati molto poco su quanto potesse durare il prodotto acquistato perché l’atto d’acquisto, sviluppatosi dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, si è ripetuto senza grande consapevolezza né dei propri diritti – alla sostituzione, riparazione, riduzione del prezzo o risoluzione del contratto – né del nocumento all’ambiente arrecato dall’utilizzo di risorse non rinnovabili per la sua produzione, trasporto e  smaltimento. Possiamo ancora permettercelo ?
 

Quando si acquista un prodotto di largo consumo, soprattutto se si tratta di un piccolo elettrodomestico come uno smartphone di nuova generazione o l’ultimo frullatore capace di cucinarti il risotto alla milanese  mentre ti fai la doccia, raramente si pensa alla sua durata. Abbacinati dalle sfavillanti promesse della pubblicità o dal design di grido del prodotto, non sempre prestiamo attenzione ad aspetti funzionali come la possibilità di poter riparare appunto l’elettrodomestico, o più in generale il prodotto, in caso di malfunzionamento e quindi il poter reperire facilmente pezzi di ricambio o ancora di poterlo smaltire facilmente, disaccoppiando i componenti, perché ecodesign compatibile.
Ad oltre quindici anni dal varo della direttiva sulla garanzia di conformità dei prodotti 44/1999, la cosiddetta garanzia legale o del venditore codificata negli artt.130 e ss del nostro Codice del consumo, la Commissione europea sta ancora chiedendo agli Stati membri di migliorarne la conoscenza. La maggior parte degli europei ignora la durata di due anni ed i rimedi a propria disposizione, ma spesso fa esperienza del fatto che solo nei primi sei mesi l’onere della prova è a totale carico del venditore e dopo diventa davvero difficile far valere i propri diritti. D’altra parte, in un periodo recessivo e di grosse sfide ambientali che non si possono più ignorare, sarebbe miope non valutare l’opportunità di rivedere la norma sulla durabilità dei prodotti. Una migliore applicazione delle norme in materia di conformità favorirebbe prodotti con un ciclo di vita più lungo e una più efficace copertura da vizi di conformità, con beneficio per l’ambiente e per il portafoglio del consumatore. Troppo oneroso per le imprese ? Dipende da se e quanto si voglia fidelizzare i propri clienti. Invece che puntare sul volume delle vendite si potrebbe puntare sul servizio, sul servizio post vendita in particolare o magari sul leasing o il noleggio. Basta pensare a quanto questo concetto stia rivoluzionando la mobilità nelle grandi città attraverso la diffusione del bike o car sharing.


Come spesso accade, davanti a vincoli legislativi per le imprese meno innovative è più facile trovare scorciatoie che cambiare il modello di business. Oggi vi è il fondato sospetto che nonostante il progresso tecnologico, o forse proprio per quello, in alcuni settori industriali si limiti in modo programmato la vita del prodotto per continuare a vendere in mercati saturi, oppure appunto si progetti così da renderne di fatto impraticabile la riparazione o ancora non si producano pezzi di ricambio o li si offra ad un prezzo talmente elevato da disincentivare l’acquisto. Tutto questo è altrimenti chiamato “obsolescenza programmata”, qualcosa di cui tutti prima o poi hanno fatto esperienza senza esserne necessariamente  consapevoli.


Sarebbe al contrario opportuno avere prodotti  che durino di più e per i quali sia indicato chiaramente il ciclo di vita del prodotto, così da responsabilizzare produttore e venditore allo stesso tempo e rendere più facile per il consumatore operare una scelta di consumo sostenibile all’origine. Tanto più che esercitare i rimedi previsti dalla norma sulla garanzia legale appare essere ancora molto difficoltoso. L’onere della prova della non conformità del prodotto non dovrebbe essere mai a carico del consumatore per tutta la durata – attualmente di due anni – della garanzia legale, non solo nei primi sei mesi.


La durata stessa della garanzia di conformità dovrebbe essere più estesa.  Dovrebbe essere assicurata la disponibilità delle parti di ricambio per un periodo più lungo, così da incentivare e consentire la riparazione del prodotto invece che la sua sostituzione. La scelta di molti produttori è infatti oggi di abbandonare la commercializzazione di prodotti accessori, come batterie o cartucce per stampanti.


Dovrebbero essere perseguite con maggiore incisività tutte quelle pratiche commerciali scorrette che creano confusione tra quanto garantito per legge e quanto offerto volontariamente o dietro pagamento dal produttore, come è stato nel caso della sanzione comminata dall’autorità Antitrust italiana ad Apple per aver proposto ai propri clienti la propria assistenza post vendita “Apple care” tacendo quanto comunque sarebbe stato garantito per legge (vedi link a Apple case). I consumatori del nuovo millennio vogliono prodotti che durino di più perché hanno una nuova sensibilità ambientale e, considerato che da una parte è piuttosto difficile veder riconosciuti i propri diritti dalla controparte, dall’altra esiste il problema del prodotto che cessa di funzionare con lo scadere del periodo di tutela previsto dalla legge, sarà fondamentale allungare la durata della garanzia legale a livello europeo per soddisfare questo bisogno.


Vi sono diverse ragioni all’origine dell’obsolescenza, ovvero della programmazione della fine della vita di un prodotto: tecnologica, ecologica, estetica e per perenzione, nel caso degli alimenti su cui è indicata la data di utilizzazione ottimale che viene spesso vissuta erroneamente come una scadenza.


D’altra parte occorre che i prodotti siano davvero concepiti in modo innovativo, per esempio  il rinnovo di elettrodomestici con più di dieci anni permetterebbe di guadagnare 5,7 miliardi di kilowatts e guadagnare in efficienza energetica. Anche le norme sull’eco-design giocano un ruolo chiave per migliorare la riparabilità dei prodotti oltre che il loro impatto ambientale, una volta diventati rifiuti da smaltire.
Aumentare la durata della garanzia legale è quindi una sfida da vincere per il nuovo Parlamento europeo se si vuole riguadagnare la fiducia dei cittadini. Anche degli euroscettici.
 

Print Friendly

Autore:


Segretario generale di Altroconsumo e membro del Consiglio direttivo dell’associazione dal 1997. E’ responsabile delle Relazioni esterne dell’organizzazione e suo rappresentante presso il Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti del Ministero dello Sviluppo economico. Partecipa all’esecutivo BEUC dal 2008 dove è stata eletta nel 2012. Socio FERPI dal 2000, collabora con CDM e con le università dal 1998 perché crede nella contaminazione culturale.

Non ci sono commenti.

Inviando il commento accetti espressamente le norme per la Privacy.