L’obsolescenza programmata: un problema economico ed ambientale


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Il concetto di “obsolescenza programmata” ha avuto origine quasi contemporaneamente alla nascita della produzione di massa, ovvero quando l'offerta ha iniziato a superare la domanda e i prodotti rimanevano invenduti. Si è presto intuito che l'unico modo per risolvere il problema era diminuire la durata di vita dei prodotti e quindi forzare i consumatori ad acquistarne di nuovi. Il ricorso all’obsolescenza programmata da parte dei produttori è spiegato quindi dalla volontà di questi di mantenere alto il tasso di crescita e di profitto mediante la riduzione dei tempi di acquisto.
L’obsolescenza programmata viene definita come la scelta intenzionale di progettare o programmare un prodotto in modo che abbia una durata limitata, così da diventare obsoleto, ‘fuorimoda’ o non più utilizzabile dopo un determinato lasso di tempo, a seconda delle esigenze del produttore.
Vari sono i motivi per cui un prodotto può diventare obsoleto, riconducibili a due principali strategie di obsolescenza: da un lato perché esso perde la propria efficienza d’uso o funzionalità, dall’altro perché viene sostituito da un modello nuovo, quindi percepito dal consumatore come più innovativo, più alla moda, ovvero dotato di caratteristiche tecniche o tecnologiche superiori. Normalmente si è quindi in presenza di due principali categorie di obsolescenza: quella tecnica e quindi psicologica.


Quest’ultima è molto più legata alla percezione indotta nel consumatore che alla componentistica, ai materiali o alle soluzioni tecniche adottate nel prodotto, bensì è legata ai richiami alle tendenze e alle mode di consumo. Questo tipo di obsolescenza, in particolare, si divide in:

 

  • Obsolescenza stilistica: prevede che il prodotto non venga più riconosciuto come “di tendenza” dai consumatori, i quali hanno interesse a sostituire il prodotto ormai datato con un nuovo prodotto più alla moda nonostante la piena funzionalità del primo.
  • Obsolescenza simbolica: prevede il declassamento prematuro di un prodotto, attuato invitando e convincendo i consumatori ad acquistarne uno nuovo.

 

L’obsolescenza tecnica, invece, fa affidamento sulle diverse possibilità che il produttore ha a disposizione per rendere obsoleta la componentistica materiala e gli strumenti tecnico-applicativi del prodotto attualmente in uso. Vi sono varie possibili strategie di obsolescenza tecnica:

 

  • L’obsolescenza funzionale ha luogo quando viene sviluppata una nuova tecnologia che consente di utilizzare un prodotto la cui precedente tecnologia non viene più resa accessibile, obbligando così i consumatori ad adattarsi alla nuova tecnologia.
  • L’ obsolescenza fisica si verifica quando viene predefinita la durata di vita di un oggetto o di una sua componente, dopo di che l’oggetto diventa inutilizzabile senza la riparazione o la sostituzione dello stesso.
  • L’obsolescenza di riparazione: ha luogo quando il prodotto viene progettato in moda tale da avere una limitata possibilità di riparazione, a causa per esempio di alti costi di riparazione che disincentivano il cliente a riparare il prodotto, facendogli preferire l’acquisto di un nuovo bene.
  • L’obsolescenza di rinvio, che possiamo definire come un’obsolescenza del “non-fare”, in quanto il produttore, nonostante possa implementare tecnologie più avanzate nel suo prodotto, sceglie volontariamente di non farlo, riservandole ad altri prodotti (ad esempio più costosi).

 

A fronte delle strategie descritte, tuttavia, va sottolineato come, al contrario di quanto si creda, l’obsolescenza programmata non rappresenti soltanto una strategia di business per aumentare i profitti, ma possa essere anche conseguenza dei modelli di consumo dei consumatori. Le richieste dei consumatori di prodotti sempre più innovativi, sostenute da un accesso semplificato al credito e da disponibilità di budget, costituiscono un forte contributo all’obsolescenza. Alcuni studi hanno dimostrato che alti tassi di obsolescenza tecnologica aumentano la percezione dei consumatori circa la qualità del prodotto, le imprese quindi si trovano a dover competere tra loro per mantenere o guadagnare la fiducia del consumatore proponendo nuovi prodotti con tecnologie sempre più avanzate. Pertanto, il costante rilascio di prodotti con aggiornamenti incrementali rende i consumatori soddisfatti e consente ai produttori di ottenere il ritorno desiderato.


Proprio in ragione di ciò, inoltre, molti studi sostengono che l’obsolescenza programmata benefici le aziende più innovative (ovvero più capaci di sviluppare nuovi prodotti) e incoraggi gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Molti sono i casi di obsolescenza programmata riscontrati sul mercato. Uno studio realizzato da Schridde e Kreiss dell'Università di Aalen, mostra come molti dei prodotti di massa siano progettati per presentare difetti e rotture dopo un tempo predeterminato. Prendendo in esame le stampanti a getto d’inchiostro, per esempio, è emerso secondo gli autori che, dopo un numero predefinito di stampe, comparisse sul display un avviso che richiedeva la riparazione della macchina. Azzerando il chip di conteggio delle stampe, invece, la macchina risultava nuovamente funzionante. Un altro apparecchio osservato, sono le lavatrici le cui leghe metalliche utilizzate per le barre di riscaldamento sarebbero costituite da metalli che si arrugginiscono molto prima, così da costringere il consumatore a comprare un nuovo elettrodomestico poiché la riparazione sarebbe anti-economica.

 

E’ in particolare sul piano degli impatti ambientali che l’obsolescenza programmata può dispiegare gli effetti più negativi. La non necessaria sostituzione di un prodotto ancora funzionante o la prematura rottura di un prodotto possono causare un forte impatto sul consumo di materie prime necessarie per la produzione di nuovi prodotti in sostituzione di quelli considerati obsoleti, che a propria volta dovranno essere smaltiti, con conseguenze sulla generazione di rifiuti.


A tal proposito è da notare che il consumo annuo attuale di materie prime è di circa 60 miliardi di tonnellate, ossia il 50 % in più rispetto a 30 anni fa. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) stima che, a partire dai livelli noti del 1999, di questo passo "le riserve di rame, piombo, nickel, argento, stagno e zinco, con un tasso di aumento annuo della produzione primaria di questi metalli pari al 2 %, non durerebbero più di 30 anni, mentre quelle di alluminio e ferro durerebbero tra i 60 e gli 80 anni”. Inoltre, ogni anno in Europa vengono generati 10 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e nel 2020 il volume di questi rifiuti dovrebbe raggiungere i 12 milioni di tonnellate (cifre relative al 2012).


Per questa ragione, le istituzioni che presidiano le politiche ambientali dell’Unione Europea stanno fortemente puntando sulla lotta all’obsolescenza programmata, a favore della cosiddetta “product durability”.


La direttiva UE cosiddetta EcoDesign (2009/125/CE), ad esempio, costituisce il principale punto di partenza nel contesto della durabilità dei prodotti. La direttiva richiama l'attenzione sulla durata del prodotto, nonché sulla possibilità di manutenzione, riparazione e disponibilità di parti di ricambio, richiedendo che vengano utilizzati dal produttore i seguenti criteri di progettazione “sostenibile”: durata minima garantita, tempo minimo per la disponibilità di parti di ricambio, modularità, possibilità di upgrading, riparabilità.


Considerato quanto espresso dalla direttiva, la durata deve essere considerata dal produttore una misura del “ciclo di vita ottimale di un prodotto”; fino al punto in cui non è più economicamente possibile riparare le parti costituenti.
Anche nell’ambito del marchio volontario EU Ecolabel si tiene conto della “durabilità” dei prodotti, fissando requisiti quali la resistenza all’uso e il deterioramento dei materiali costituenti i prodotti che vogliono ottenere questo prestigioso riconoscimento di eccellenza ambientale.


La Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea considera il tema della durabilità dei prodotti come prioritaria nell’ambito del nuovo programma di azione e, per questo motivo, ha assegnato ad un team di centri di ricerca europei (tra cui la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) uno studio mirato a definire requisiti specifici di durata dei prodotti, nonché a valutare i conseguenti benefici ambientali, su due settori-pilota: frigoriferi e forni a microonde, i cui risultati saranno disponibili entro la fine del 2014. Per seguire i lavori del progetto occorre registrarsi come stakeholder interessato al sito web: www.productdurability.eu.

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Autore:


Fabio Iraldo è Professore Associato presso la Scuola Sant’Anna di Pisa (Istituto di Management) e Direttore di Ricerca presso l’IEFE – Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente dell’Università Bocconi. Nel 2006 ha fondato il Cesisp – Centro per lo sviluppo della sostenibilità dei prodotti, in collaborazione con l’Università di Genova e il Politecnico di Torino. Ha coordinato numerosi progetti finanziati dalla Commissione Europea, fra i quali si annoverano: EVER “Evaluation of Emas for the Revision”, Life+ ECCELSA “Environmental Compliance based on Cluster Experiences and Local SME Approaches”, EcoInnovation IMAGINE “Innovation for a Made ‘Green’ in Europe”, BAT4MED (FP7), Life+ LAIKA “Local Authorities Improving Kyoto Actions”, Life+ BRAVE “Better Regulation Aimed at Valorising Emas” e Life+ PREFER “Product Environmental Footprint Enhanced by Regions”. E’ stato inoltre leading consultant per la Commissione nel processo di valutazione delle politiche di Produzione e Consumo Sostenibili che ha dato vita alla recente strategia comunitaria “Building the Single Market for Green Products”. Dal 2014 è coordinatore dell’Osservatorio Green Economy dell’Università Bocconi.

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