“Bail in” e nuove regole per la gestione delle crisi bancarie


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La direttiva 2014/59 BRRD (bank recovery and resolution directive) è stata recepita nel nostro ordinamento con appositi decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 settembre. I decreti di attuazione entreranno in vigore il prossimo 1 gennaio 2016; e così anche in Italia saranno operative le nuove regole europee per prevenire e gestire le crisi di banche e imprese di investimento. Nell’intenzione del legislatore europeo dal 2016 le crisi saranno gestite secondo regole armonizzate, utilizzando le risorse dei privati ed evitando così il rischio di misure non adeguate per fronteggiarle, com’è successo durante la crisi finanziaria del 2010 in cui, proprio per evitare le crisi del sistema bancario, il debito pubblico, a causa degli interventi di sostengo a favore delle banche, è cresciuto in molti Paesi: Germania + 250 mld di euro, +60 mld euro in Spagna, + 19 mld euro in Austria e Belgio, + 18 mld euro in Portogallo, + 4 mld euro in Italia. 

 

Entrando nello specifico ecco che cosa prevedono le nuove regole.

  1. Gli intermediari verseranno dei contributi in maniera preventiva per finanziare dei fondi da usare per le misure di risoluzione delle crisi. Dal 1 gennaio 2016 sarà operativo il meccanismo unico di risoluzione (SRM single resolution mechanism) a cui si accompagna la costituzione del Fondo di risoluzione unico (SRF single resolution fund) alimentato dai contributi delle banche. L’SRM è composto dalle autorità di risoluzione locali (per l’Italia Banca d’Italia) e da un’Autorità europea (la SRB single resolution board ) cui partecipano rappresentanti locali e membri permanenti.
  2. Sono previste forme di prevenzione delle crisi; le Autorità di supervisione possono approvare piani di risanamento degli intermediari per intervenire in caso di deterioramento delle condizioni della banca prima di arrivare ad interventi di risoluzione.
  3. Sono previsti strumenti di intervento tempestivo (early intervention). 
  4. Viene introdotta la procedura di risoluzione della banca: cioè un processo di ristrutturazione gestito da Autorità indipendenti (autorità di risoluzione) che cerca di evitare interruzione dei servizi offerti dalla banca e di ripristinare le condizioni economiche sostenibili. Alternativa alla risoluzione è la liquidazione coatta amministrativa già presente in Italia da anni. La risoluzione viene avviata quando la banca è a rischio di dissesto per perdite che hanno ridotto significativamente il suo capitale e questo dissesto non può essere risolto attraverso un aumento di capitale e la liquidazione non proteggerebbe adeguatamente i clienti. Per attuare la risoluzione si può vendere una parte dell’attività della banca ad un acquirente privato, trasferire attività e passività temporaneamente ad una “bridge bank” per proseguire le funzioni in vista della vendita sul mercato, trasferire le attività deteriorate ad una “bad bank” per la liquidazione, applicare il cosiddetto “bail in” cioè svalutare azioni e crediti oppure convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca. 
  5. Ovviamente perché la procedura possa realizzarsi completamente bisogna anche creare una bad bank e una bridge bank due strutture ancora non esistenti in Italia; bisogna in qualche modo anche riformare il sistema bancario (non solo le popolari ma anche le banche di credito cooperativo).
  6. Ultima tappa nei casi più gravi di crisi la nazionalizzazione della banca e dunque l’intervento diretto del Governo pubblico nella gestione della banca a cui però si può arrivare solo dopo che si è applicato il bail in per almeno l’8% del passivo.

 

La novità che fa più paura, soprattutto a risparmiatori e investitori, è il “bail in” letteralmente “auto salvataggio”. In pratica per ridurre le sue perdite la banca può ridurre il valore di azioni e obbligazioni oppure convertirle in azioni. In questo modo si ricapitalizza la banca dandole nuova fiducia sul mercato. C’è un limite però: azionisti e creditori non possono subire con queste operazioni perdite maggiori di quelle che sopporterebbero con la liquidazione. E comunque dall’operazione di bail in non possono mai essere toccate le seguenti passività della banca:

  1. depositi protetti dal fondo di garanzia (fondo interbancario di tutela dei depositi) dunque di valore fino a 100.000 euro per depositante;
  2. le passività garantite (ad esempio le obbligazioni bancarie garantite);
  3. il contenuto delle cassette di sicurezza e i titoli presenti in un conto apposito;
  4. i debiti verso dipendenti.

 

Il fondo di risoluzione SRF può intervenire fino ad un massimo del 5% del passivo e solo se col “bail in” è stato coperto almeno l’8% del passivo; il bail in diventa dunque un passaggio obbligato.

Il bail in incide sui risparmiatori secondo una gerarchia ben precisa: chi investe in strumenti finanziari più rischiosi sostiene prima degli altri le perdite e la conversione in azioni. Si inizia con la categoria di investitori più rischiosa e solo dopo averla esaurita si passa alla successiva. Quindi l’ordine sarà: azionisti, detentori di altri titoli di capitale, possessori di titoli di debito subordinati, creditori che hanno attività convertibili in azioni (ad esempio obbligazionisti), depositanti con depositi superiori a 100.000 euro, fondo di garanzia dei depositi.

Queste misure si possono applicare anche agli strumenti già in circolazione. Come già oggi l’investitore dovrà fare molta attenzione a comprare titoli della banca e la banca dovrà informare adeguatamente chi acquista obbligazioni bancarie dei possibili rischi. Ma è evidente l’aumento del rischio per i vecchi investitori, per chi è già in possesso di obbligazioni bancarie. Bisogna avvertirli del peggioramento di rischio e, se per loro la novità è troppo rischiosa, bisogna dare loro il consiglio di vendere. Nel futuro le obbligazioni bancarie dovranno offrire rendimenti più elevati per compensare il maggiore rischio. E’ la legge del mercato. Per il momento le banche devono investire tanto in informazione; o per meglio dire, per evitare evidenti conflitti di interesse, la Banca d’Italia deve investire in informazione nei confronti dei piccoli risparmiatori che in questi anni sono stati grandi acquirenti di obbligazioni bancarie. 

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Autore:


Dal 1995 per l’ufficio studi di Altroconsumo produce analisi sul settore bancario, assicurativo e dei mezzi di pagamento. I lavori spaziano dal credito al consumo al credito immobiliare, dalle assicurazioni vita ai conti correnti ed alle carte di pagamento.

2 Risposte a "“Bail in” e nuove regole per la gestione delle crisi bancarie"

  1. silvia scrive:

    Ottimo pezzo complimenti! Vantaggi e rischi finalmente espressi in modo chiaro!

     

  2. Anna Vizzari Altroconsumo scrive:

    Il 22 novembre scorso Banca d'Italia e Governo hanno per la prima volta usato le nuove regole sulla risoluzione delle crisi bancarie per 4 banche: Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Carichieti e Carife.

    Per la prima volta è stato usato anche il bail in per cui le perdite delle 4 banche sono state coperte in parte usando le azioni e le obbligazioni subordinate emesse dalle banche stesse ed in parte dal Fondo di risoluzione

    In pratica sono state separate le attività buone delle banche da quelle cattive. La banca buona ha tutte le attività esclusi i prestiti in sofferenza che rimangono dopo la copertura di azioni e obbligazioni subordinate e che sono stati devoluti ad una bad bank che non è una banca nel vero senso del termine visto che non ha licenza bancaria; si occuperà di recuperare i crediti o li venderà a società di recupero crediti. E resterà in piedi fino al recupero di tutte le perdite.

    Le banche buone sono: Nuova Banca delle Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e nuova Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio. Nel loro attivo ci sono conti correnti, depositi e obbligazioni ordinarie. La loro attività bancaria verso correntisti e clienti in genere continua con la nuova denominazione.

    Queste nuove banche hanno ricevuto capitale dal Fondo di risoluzione.

    Ovviamente il Fondo che ha immesso capitale nelle nuove banche e coperto parte delle perdite ha ricevuto dei contributi da alcuni operatori (per un totale di 3,6 miliardi di euro), in particolar modo da Intesa San Paolo, Unicredit e Ubi Banca che hanno prestato i soldi al Fondo a tassi di mercato con scadenza della restituzione a 18 mesi. Le 4 banche iniziali vengono portate alla liquidazione amministrativa coatta per la loro definitiva chiusura.

    L’effetto diretto negativo si ha per azionisti e possessori di obbligazioni subordinate. Di certo i piccoli risparmiatori non erano pienamente consapevoli del rischio di insolvenza che caratterizzava i titoli che stavano acquistando e sicuramente non sono stati informati in maniera preventiva di quello che sarebbe potuto accadere in caso di crisi.

    Per il futuro i titoli bancari dovranno essere venduti con maggiore attenzione e maggiori controlli da parte delle Autorità

     

     

     

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