Composizione crisi da sovraindebitamento – una partenza stentata


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Il varo delle norme sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento per i consumatori contenute nella Legge n° 13 del 27.1.12 aveva suscitato un coro unanime di consensi soprattutto circa la necessità di una simile disciplina che avrebbe dovuto arginare un fenomeno dilagante.


La disciplina è stata scritta sulla falsariga di quella degli accordi ex art. 182-bis LF: il consumatore, da solo o con l’ausilio di un “organismo di composizione delle crisi”, può depositare una proposta di accordo con i creditori (che dovrà poi essere approvata da tanti di loro che rappresentino almeno il 60% del debito totale) presso il Tribunale competente (quello di residenza del debitore).


I vantaggi, sulla carta, sono molteplici: c’è la possibilità di ottenere la moratoria sui pagamenti anche per i crediti priviliegiati che possono anche subire falcidia se non vi sono ragionevoli possibilità di ottenere un miglior risultato dalla liquidazione dei cespiti, la semplice presentazione della proposta blocca il decorso degli interessi sui debiti chirografari, è possibile ottenere il blocco delle procedure esecutive e l’esdebitazione per i debiti non soddisfatti in caso di regolare adempimento del piano


A distanza ormai di quasi due anni dall’entrata in vigore (e quasi un anno dopo le modifiche che hanno reso l’istituto accessibile anche ai piccoli imprenditori – DL 179/12), però, l’applicazione concreta della procedura sembra stentare a prendere il via.
Da un’indagine condotta presso la sezione fallimenti del Tribunale di Milano, infatti, emerge che, nel 2013, è stata depositata solo una proposta di accordo.
Il Presidente della Sezione, dott. Filippo Lamanna, interpellato in proposito, ha confermato il dato ed ha attribuito la mancata presentazione di istanze allo scarso interesse dei professionisti locali per la nuova procedura (in altri circondari, invece, vi sarebbe un maggiore attivismo).


La mancata istituzione degli organismi di composizione della crisi che dovrebbero ausiliare il consumatore nella predisposizione del piano e nella gestione dello stesso fa sì infatti che il compito (anche promozionale) a questi affidato debba essere svolto da professionisti (avvocati e commercialisti) nei confronti della propria clientela abituale.


Bisogna inoltre rilevare che, nonostante l’art. 6 c.2 L. 3/12 definisca la “crisi da sovraindebitamento” come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” (si tratta di una definizione che ricalca per molti versi quella dell’insolvenza), la letteratura economica ha tentato di darne una definizione più “quantitativa” senza però raggiungere un’unanimità di consensi.


I principali indici individuati sono stati i seguenti:

  1. Quando le rate di rimborso dei prestiti eccedono il 30 (o, per altri, il 50)% del reddito mensile lordo
  2. Quando le rate di rimborso di prestiti non ipotecari eccede il 25% del reddito lordo mensile
  3. Quando, a causa del pagamento, delle rate di rimborso il debitore scende sotto il limite della povertà
  4. Quando si hanno 4 o più finanziamenti in essere
  5. Quando si sono accumulati ritardi di oltre 2 mesi nei pagamenti delle rate di rimborso
  6. Quando il debitore definisce “eccessivo” il livello dei suoi oneri finanziari
     

Un recente studio effettuato dalla Banca d’Italia sulla base dei dati 2010 dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane ha peraltro evidenziato che le famiglie italiane sovraindebitate sulla base di uno dei predetti indici di natura oggettiva (i primi 5) oscillano tra l’1 ed il 6% mentre sussiste una forte percezione soggettiva di sovraindebitamento (quasi il 30% delle famiglie si sente sovraindebitata).
In altre parole, a fronte di un allarme sociale decisamente elevato, la percentuale di famiglie che manifestano sintomi precisi di sovraindebitamento (e, badiamo bene, possono non essere ancora propriamente insolventi) risulta decisamente più contenuto e inferiore alle medie dei paesi UE .


Da ciò ne consegue che la platea di soggetti che possono ricorrere a questo istituto è comunque piuttosto limitata soprattutto se dalle percentuali sopra indicate si sottraggono i soggetti del tutto impossidenti che ben difficilmente potranno avere l’interesse (o anche solo la possibilità) di proporre un accordo di ristrutturazione.
Ma c’è anche un altro dato statistico che rende di fatto improponibile l’accordo da parte della maggior parte dei soggetti che pure ne avrebbero astrattamente l’interesse: solo lo 0,37% delle famiglie italiane è indebitato con 4 o più creditori.
In una situazione in cui l’intero ceto creditizio è rappresentato da pochissimi soggetti (per lo più di estrazione bancaria) è forse più semplice e meno macchinoso raggiungere un accordo stragiudiziale direttamente con questi ultimi.
 

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Autore:


Svolge la professione di avvocato a Milano dove tratta prevalentemente le materie del diritto immobiliare e di quello finanziario. Collabora con l’associazione Altroconsumo in qualità di consulente. Cura la rassegna di giurisprudenza in materia consumeristica di Consumatori, Diritti e Mercato sin dal numero 1/06.

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