Nel corso dell’ultimo decennio il potere di acquisto delle famiglie italiane – inteso come reddito lordo disponibile in termini reali ottenuto utilizzando il deflatore della spesa per i consumi finali delle famiglie del 2005 (Istat) – è complessivamente diminuito (-2,5%), passando da 916 (2000) a 893 miliardi di euro (2012). Come evidenzia la Figura 1, tale dinamica nasconde, tuttavia, un opposto andamento nel periodo: se fino al 2007 il reddito disponibile delle famiglie ha registrato una crescita reale, seppur modesta, a partire dal 2008 l’andamento del reddito ha subito una continua e consistente erosione come conseguenza della doppia crisi economico-finanziaria (2008-09 e 2011-12) che ha interessato il Paese in questi ultimi anni.
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
Il progressivo diffondersi della crisi non ha, però, colpito il reddito disponibile delle famiglie simultaneamente e con la stessa intensità in tutte le diverse aree. Le regioni del Nord-ovest e quelle del Nord-est hanno subito gli effetti della congiuntura economica negativa in modo più incisivo già nel 2008, con una caduta del reddito disponibile delle famiglie, assai più elevata di quella media nazionale; al contrario, in quelle meridionali la riduzione del potere di acquisto è risultata più contenuta, soprattutto per effetto del maggior ruolo che nelle regioni del Sud giocano le prestazioni sociali e i trasferimenti come componenti del reddito familiare. In particolare, la maggiore riduzione del potere di acquisto delle famiglie del Nord trova spiegazione soprattutto nella diminuzione del reddito per quelle componenti che più riflettono un legame diretto tra famiglie e mondo delle PMI che in quest’area pesano maggiormente nella formazione del reddito e che sono state più fortemente colpite dalla profonda recessione economica: si tratta dei redditi misti, che rappresentano il risultato dell’attività imprenditoriale svolta dalle famiglie nella loro veste di produttori, e dei redditi da capitale (dividendi, interessi, affitti).
La riduzione del reddito disponibile delle famiglie che è avvenuta nell’ultimo decennio si è tradotta in una parziale riduzione nelle differenze di reddito a livello territoriale e sociale esistenti, come conseguenza del fatto che negli ultimi anni – come già sottolineato – la recessione ha colpito in modo più profondo alcune componenti del reddito familiare la cui presenza è differenziata sul territorio. Se confrontiamo il reddito disponibile reale pro-capite per grandi ripartizioni territoriali si evidenzia come, mentre nel Nord-ovest e nel Nord-est nel 2000 il valore era pari a circa 19-20 mila euro contro 11,9 mila nel Mezzogiorno, dieci anni dopo tali valori erano rispettivamente pari a 18,5 mila e 11,8 mila euro: mentre nel 2000 nel Sud il reddito pro-capite era il 60% di quello del Nord, nel 2012 tale percentuale è cresciuta al 64%. Pur rimanendo ancora molto elevato, il divario territoriale di reddito si è così ridotto in termini reali. Una riduzione che diventa più significativa se si tiene conto che nel 2012 il reddito reale disponibile pro-capite a livello Italia ha raggiunto un valore simile a quello di inizio degli anni ’90, periodo in cui il divario territoriale di reddito risultava molto più elevato.
La stessa concentrazione del reddito disponibile delle famiglie sembra aver registrato una piccola riduzione nel periodo, anche se permangono ancora forti differenze di reddito a livello familiare: come evidenzia la periodica “Indagine sui bilanci delle famiglie italiane” condotta dalla Banca di Italia, nel 2010 il primo 20% delle famiglie possiede una quota di reddito pari al 41,8% (reddito medio superiore a 50 mila euro) contro l’ultimo 20% di famiglie che possiede una quota del 6,5% e che può contare su un reddito medio inferiore ai 15 mila euro. Si tratta di un dato che segnala qualche mutamento rispetto a quello del 2000, in cui il primo 20% delle famiglie aveva una quota di reddito più elevata (42,3%) e l’ultimo 20% il 6,1%.
Al di là delle considerazioni in merito alla reticenza nelle risposte delle famiglie per motivi fiscali che in qualche misura potrebbero mettere in discussione la reale dimensione della sperequazione sociale dei redditi che emerge dai dati dell’Indagine della Banca di Italia, occorre anche sottolineare un altro fenomeno rilevante che questi dati nascondono, vale a dire il processo di redistribuzione dei redditi a livello familiare che si è avviato in questi ultimi anni. Le crescenti difficoltà a trovare un lavoro per i giovani e le donne o la perdita dello stesso a causa della crisi economica hanno finito per attivare nei confronti dei diversi membri di una famiglia – più o meno allargata – una rete di protezione sociale che ha portato alla redistribuzione di significative quote di reddito in modo diretto e/o indiretto all’interno della stessa famiglia. Sia integrando il reddito disponibile del familiare attraverso un’erogazione diretta sia attraverso un sostegno attraverso il pagamento dei costi (affitto, utilities, spese mediche, auto,….) le famiglie hanno, così, agito come vero e proprio ammortizzatore economico-sociale e, con il prolungarsi della crisi, hanno recuperato nuove risorse incidendo anche sulla loro capacità di risparmio complessiva. Come evidenzia la stessa Figura 1, nel periodo 2007-2012 la propensione al risparmio è diminuita di oltre quattro punti percentuali, passando dal 12,4% (2007) all’8,1% (2012).
A fronte di una progressiva riduzione del potere di acquisto, attraverso una riduzione del risparmio e la “messa a reddito” a favore di altri membri dei loro asset, le famiglie italiane hanno così cercato di mantenere il livello di consumo e il tenore di vita raggiunto ma anche di supportare le difficoltà di reddito degli altri componenti familiari, soprattutto di quelli più esposti.