I giudici e la mediazione delegata: un promettente avvio


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Il dott. Buffone, giudice del Tribunale di Milano, si è, invece, pronunciato con l’ordinanza 29 ottobre 2013 nel corso di una controversia fra ex coniugi attinente gli obblighi alimentari nei confronti dei figli minori; nel rimettere le parti al mediatore, osserva che “sussiste l’evidente opportunità di una soluzione conciliativa della lite. In primo luogo, la controversia involge due parti legate da pregresso rapporto affettivo; rapporto destinato a proiettarsi nel tempo, in quanto i litiganti, non più coniugi, sono tuttavia ancora genitori; questo, inoltre, dovrebbe indurre le parti stesse ad agire tenendo sempre fermo e presente l’interesse ‘preminente’ dei figli minori, che meglio è preservato ove gli stessi non diventino – seppur indirettamente – oggetto di procedure giudiziali".

Il giudice, rilevando poi l’illogicità del rapporto fra il valore della lite e le spese della stessa in ben due gradi del giudizio, sottolinea come lo stesso creditore avrebbe potuto anteporre alla scelta giudiziale “l’opportunità del ricorso ad un sistema di risoluzione alternativo della controversia e riservare, dunque, il percorso giurisdizionale solo alla res litigiosa residuata all’esito del fallimento delle procedure di confronto amichevole.

Opportunamente l’estensore rileva, quindi, i vantaggi che discendono dalla circostanza che l’oggetto della mediazione, a differenza del giudizio, può estendersi anche ai rapporti futuri: “giova, peraltro, ricordare come i mediatori ben potrebbero estendere la ‘trattativa’(rectius: mediazione) ai crediti maturati successivamente alla instaurazione dell’odierna lite e non fatti valere in questo processo, così essendo evidente che l’eventuale soluzione conciliativa potrebbe definire il conflitto, nel suo complesso, mentre la sentenza di appello potrebbe definire, tout court, solo una lite, in modo parziale”.

Sempre il Tribunale di Milano, sez. specializzata in materia di impresa, con ordinanza 21 marzo 2014 della dott.ssa Riva Crugnola, coniuga i due nuovi poteri attribuiti al giudice dalla l. 9 agosto 2013, n. 98: la remissione delle parti alla mediazione e la formulazione di una proposta transattiva secondo quanto dispone ora l’art. 185 bis cod. proc. civ.: “il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa”.

A fronte dell’annosa pendenza di una vicenda giudiziaria che ben avrebbe potuto concludersi mediante un accordo fra le parti, l’ordinanza, rilevato ”un corso sproporzionato rispetto ai termini reali della controversia” formula una proposta conciliativa sulla base dei fatti pacifici e non contestati specificando che, ove le parti avessero immotivatamente rigettato la stessa, il passaggio successivo sarebbe stato l’avvio ex officio della mediazione.

Non minore interesse presenta la condanna alle spese per responsabilità aggravata da lite temeraria (art. 96 cod. proc. civ.) ad opera dell’ordinanza del 24 dicembre 2013 del dott. Caputo, giudice presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere: viola, infatti, il dovere di buona fede contrattuale il comportamento della parte che avrebbe potuto risolvere amichevolmente un semplice problema locatizio ma ha preferito, invece, ricorrere all’autorità giudiziaria.

Rilievo centrale, in questo senso, assume il ruolo del difensore, che deve agire non più in un’ottica puramente e semplicemente conflittuale, ma assumere comportamenti finalizzati a definire le controversie anche in via stragiudiziale, ciò in considerazione del ruolo attribuito dal ‘decreto del fare’ agli avvocati, promossi mediatori di diritto senza necessità di seguire l’apposito corso: “anziché recepire l’invito della locatrice, che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, si è preferito adire il Tribunale, in un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi, prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie – al punto da prevedere, con le modifiche operate dal D.L. n. 69/2013 che gli avvocati siano di diritto mediatori e debbano assistere la parte nel procedimento di mediazione – prospettiva che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili”.

Affermazioni di spessore – specie considerato il fatto che una delle parti è un’azienda sanitaria – si trovano anche nell’ordinanza del 24 ottobre 2013 del dott. Moriconi del tribunale di Roma, il quale aderendo all’impostazione che coniuga la proposta conciliativa del giudice con il rinvio al mediatore nel caso di insuccesso, pragmaticamente sottolinea, innanzitutto, che “in relazione all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti già emessi dal Giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo. Infatti, considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una tale soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte”: ciò anche tenendo conto che “la natura ed il valore della controversia in un accezione rapportata ai soggetti in causa, sono idonei a propiziare la formulazione di una proposta da parte del Giudice”.

Le parti, inoltre, “assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del Giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, ed è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del Giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato”.

Anche a – non molto velate – minacce è fatto ricorso per indurre a buon senso le parti: “vale altresì sottolineare che l'eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell'amministrazione pubblica la potrebbe esporre a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo su una proposta del giudice […] conseguenze che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe doveroso segnalare agli organi competenti”.

Non v’è dubbio che queste prime ordinanze evidenzino la consapevolezza da parte dei giudici civili del rapporto non antagonistico, bensì complementare fra l’attività giudiziale e la mediazione, ponendo ancor più al centro dell’attenzione i temi della professionalità del mediatore e dell’affidabilità degli organismi di mediazione: eventuali carenze di questi ultimi non possono che vanificare l’intento del legislatore, con la sostanziale frustrazione delle aspettative del giudice, oltre che delle chances per le parti di chiudere rapidamente i conflitti.

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Professore di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, ove è incaricato anche del corso di Diritto dei consumatori, è avvocato e co-direttore di Consumatori, diritti e mercato. E' responsabile scientifico di numerosi enti di formazione dei mediatori civili e commerciali.

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