L’attuazione della direttiva sulle ADR nelle liti di consumo


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2. Gli organismi ADR

 

 

Sono abilitati ad operare tutti gli organismi che abbiano presentato “domanda di iscrizione alla relativa autorità competente” dichiarando “di possedere o meno i requisiti di un organismo ADR che rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, e di rispettare o meno i requisiti di qualità” richiesti (art. 141 nonies, primo comma, alinea i).


Prescindendo dalla circostanza che non di ‘direttiva’ si tratta, bensì del relativo decreto di attuazione, se l’organismo sa di non possedere i requisiti richiesti, o di non rispettare quelli di qualità, perché mai dovrebbe presentare domanda di iscrizione all’elenco?


Gli organismi devono dotarsi di un website – e mantenerlo aggiornato – tramite il quale non soltanto sia resa possibile l’eventuale presentazione della domanda e la produzione on-line dei relativi documenti nel rispetto della riservatezza dei dati personali, ma i consumatori possano altresì acquisire ogni informazione relativa ai servizi offerti.


Devono essere resi accessibili via web i recapiti dell’organismo, i dati relativi all’inserimento nel registro ministeriale, l’eventuale settore di competenza specifica e gli altrettanto eventuali limiti di valore delle liti trattate, l’indicazione delle persone preposte ai procedimenti, le lingue adottate negli stessi, i costi, ed in generale ogni rilevante aspetto disciplinato dal regolamento del quale l’organismo si è dotato.


Di un certo interesse le relazioni annuali sull’attività, anch’esse pubblicate on-line, che evidenziano, fra l’altro, le “eventuali cause sistematiche o significative generatrici delle controversie”, oltre a numerosi dati statistici sulle controversie trattate, e su quelle rifiutate.


E’ prevista una sorta di condizione di procedibilità, in quanto l’organismo può rifiutarsi di prendere in carico un procedimento se “il consumatore non ha tentato di contattare il professionista interessato per discutere il proprio reclamo, né cercato, come primo passo, di risolvere la questione direttamente con il professionista”: è così generalizzato il principio, da tempo adottato – ad esempio – per il procedimento presso l’Ombudsman-Giurì Bancario, che presuppone il preventivo inoltro di un reclamo all’istituto bancario con il quale è insorta la lite.    


Inoltre, se è trascorso un anno dalla data di presentazione del primo reclamo, l’organismo può parimenti rigettare la domanda di procedimento adr.


Gli organismi possono pure rifiutarsi di trattare un contenzioso allorché (art. 141 bis, secondo comma) – e ciò rappresenta un inedito indirizzo – “la controversia è futile o temeraria”; la controversia “è in corso di esame, o è già stata esaminata da un altro organismo ADR o da un organo giurisdizionale”, nei quali casi si suppone che sia un’eccezione della controparte a segnalare all’organismo la litispendenza, ovvero l’esito già intervenuto; il valore della controversia sia “inferiore o superiore ad una soglia monetaria prestabilita ad un livello tale da non nuocere in modo significativo all’accesso del consumatore al trattamento dei reclami”.


Quest’ultima preclusione non può che lasciare perplessi, innanzitutto in quanto i regolamenti dei singoli organismi sono la fonte della determinazione delle soglie minime e massime; in secondo luogo poiché, se pur può aver senso evitare di instaurare procedimenti su liti bagatellari, non si comprende però perché porre un limite massimo al valore delle controversie oggetto di adr, superato il quale – verosimilmente – non rimane che la via giudiziale, con buona pace delle esigenze di deflazionare il carico di lavoro degli organi giudiziari; infine, assai vaga e discrezionale è l’espressione “non nuocere in modo significativo”, né si comprende a chi competa tale valutazione.


Non meno arbitraria – ed incomprensibile – la facoltà concessa agli organismi di declinare una richiesta di procedimento qualora “il trattamento di questo tipo di controversia rischierebbe di nuocere significativamente all’efficace funzionamento dell’organismo ADR”, né appare una adeguata garanzia per il consumatore la disposizione secondo la quale “qualora, conformemente alle proprie norme procedurali, un organismo ADR non è in grado di prendere in considerazione una controversia, che gli è stata presentata”, l’organismo stesso “fornisce a entrambe le parti una spiegazione motivata delle ragioni della sua decisione […] entro 21 giorni dal ricevimento del fascicolo del reclamo”, fermo restando che le “norme procedurali non devono nuocere in modo significativo” all’accesso dei consumatori alle procedure adr: anche in questo caso appare quanto meno opinabile la discrezionalità concessa agli organismi nel determinare cosa possa nuocere ‘in modo significativo’ ai consumatori.


Le regole attinenti l’indipendenza e l’autonomia dei soggetti preposti ai procedimenti (art. 141 bis, terzo comma) ricalcano quelle del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 relative al mediatore; da rilevare, invece, l’insussistenza di quelle precipuamente dedicate alla formazione: è, infatti richiesto il possesso “delle conoscenze e delle competenze in materia di risoluzione alternativa o giudiziale delle controversie dei consumatori”, nonché “una comprensione generale del diritto”, lasciando agli organismi ogni decisione in merito alla (eventuale) formazione.


Innanzitutto, perché mai i soggetti che operano nell’ambito delle adr dovrebbero avere ‘competenze e conoscenze’ – la competenza, peraltro, comprende logicamente la conoscenza – anche in materia giudiziale, vale a dire di procedura civile?


Ma, specialmente, cosa significa “una comprensione generale del diritto”?
La formazione, come si è anticipato, è peraltro del tutto eventuale, e discrezionalmente affidata agli organismi: tuttavia, poiché il decimo comma dell’art. 141 bis dispone che “se gli organismi ADR  […] provvedono alla formazione delle persone fisiche incaricate della composizione extragiudiziale delle controversie, le autorità competenti provvedono a monitorare i programmi di formazione istituiti dagli organismi” è da scommettere che nessuno attiverà programmi atti a determinare il controllo (ahimé, anzi, ‘monitoraggio’ …) delle autorità di riferimento.


3. I procedimenti


I professionisti stabiliti in Italia che si sono impegnati a ricorrere alle modalità adr devono informare i consumatori “in modo chiaro, comprensibile e facilmente accessibile sul sito web […] e nelle condizioni generali di contratto” in merito “all’organismo o agli organismi competenti per risolvere le controversie”, dei quali indicano anche l’indirizzo web (art. 141 sexies, primo e secondo comma): ciò sembrerebbe comportare che il consumatore debba accettare l’organismo prescelto dalla controparte o, quantomeno – come appresso si dirà – si tratta di una formulazione assai ambigua. 


Le parti non hanno l’obbligo di essere assistite da un legale ma possono, se lo desiderano, richiedere un parere indipendente, o essere affiancate da terzi di loro fiducia (art. 141 quater, terzo comma, alinea b).


Abbastanza sorprendente la disposizione  (art. 141 quater, quarto comma, alinea a), secondo la quale “le parti hanno la possibilità, entro un periodo di tempo ragionevole […] di ottenere dall’organismo ADR le argomentazioni, le prove, i documenti e i fatti presentati dall’altra parte, salvo la parte non abbia espressamente richiesto che gli stessi debbano restare riservati”: con buona pace del contraddittorio, viene quasi da pensare che la proposta scambi le parti con i terzi.


Qualora la procedura sia volta “a risolvere la controversia proponendo una soluzione”, gli organismi informano le parti prima dell’avvio che esse hanno la possibilità di ritirarsi “in qualsiasi momento” (art. 141 quater, quinto comma) ma se è previsto “l’obbligo del professionista di aderire alle procedure ADR”, questa facoltà è riconosciuta al solo consumatore.


In ogni caso, “le parti, prima di accettare di dare seguito ad una soluzione proposta […] hanno la scelta se accettare o seguire la soluzione proposta o meno” e devono essere “informate del fatto che […] la partecipazione alla procedura non preclude la possibilità di chiedere un risarcimento attraverso un normale procedimento giudiziario”, fermo restando che le stesse parti devono essere consapevoli che “la soluzione proposta potrebbe essere diversa dal risultato che potrebbe essere ottenuto con la decisione di un organo giurisdizionale che applichi norme giuridiche”.


Che, nel caso di procedure strutturate sulla formulazione di una proposta ad opera di un singolo o di un panel, le parti abbiano il diritto di non accettare è cosa abbastanza ovvia – anche se così non è per la negoziazione paritetica – ma stupisce assai la eventualità di un successivo procedimento, questa volta giudiziale, per ottenere il risarcimento del danno, innanzitutto perché non si comprende qual senso avrebbe un percorso indirizzato, nelle intenzioni, a superare ogni attrito fra le parti, ma al  quale rimanga estraneo il risarcimento del danno (contrattuale, extracontrattuale?); in secondo luogo perché logica ed esperienza insegnano che le procedure adr sostituiscono i procedimenti giudiziari nell’interesse delle parti e dell’amministrazione della giustizia, non vi si aggiungono.


Inoltre, che tramite un procedimento adr si ottengano risposte diverse da quelle cui potrebbe pervenirsi in sede giudiziale, è cosa altrettanto scontata, e peraltro positiva: con la sola esclusione dell’arbitrato in nessun procedimento extragiudiziale le parti – e i soggetti preposti – sono vincolati dalle domande, e proprio in ciò risiedono le maggiori chances per i mediatori ed i conciliatori di far superare  definitivamente ogni attrito  ai contendenti anche alla luce delle posizioni emerse nel corso del procedimento, ma non configurabili all’inizio.


Le parti devono, quindi, essere consapevoli che in ciò risiede un valore aggiunto delle procedure adr, non già un rischio: forse non è fuori luogo osservare che l’estensore della proposta che si commenta mostra una ricorrente diffidenza nei confronti della materia che affronta, tanto è vero che “le parti, prima di accogliere una soluzione proposta o acconsentire a una soluzione amichevole, dispongono di un periodo di riflessione ragionevole” (art. 141 quater, quinto comma, alinea d): in realtà proprio il contrario di ciò che appare sensato, in quanto se è vero che l’assenso non deve essere estorto se si desidera che la soluzione raggiunta o accettata sia soddisfacente e quindi durevole, non è men vero che lasciar trascorrere un eccessivo lasso di tempo giova soltanto all’insorgere di dubbi, magari indotti da non disinteressati consulenti.


Il prolungarsi della procedura non influisce, comunque, negativamente sui termini di prescrizione e decadenza che, analogamente a quanto disposto per la mediazione dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono sospesi dalla data della domanda a quella “della comunicazione alle parti della mancata definizione della controversia con modalità che abbiano valore di conoscenza legale” (art. 141 quinquies, secondo comma).


4. Le autorità competenti


Sovraintendono all’offerta dei servizi adr “autorità competenti” individuate sia in via generale, sia con riferimento alle specifiche competenze settoriali: le prime sono rappresentate, congiuntamente, dal Ministero della giustizia e da quello dello sviluppo economico “con riferimento al registro degli organismi di mediazione relativo alla materia del consumo” già indicato dall’art. 16 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28; le altre sono individuate, per i rispettivi settori di competenza, nella Consob, nella Banca d’Italia, nell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, nell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nelle “altre autorità amministrative indipendenti di regolazione di specifici settori, ove disciplinino specifiche procedure ADR secondo le proprie competenze”, ed infine nel Ministero dello sviluppo economico per quanto concerne la negoziazione paritetica nei settori non regolamentati “o per i quali le relative autorità indipendenti di regolazione non applicano o non adottano specifiche disposizioni” (art. 141 octies, primo comma).


Quest’ultimo Ministero “è designato punto di contatto unico con la Commissione europea” ed ivi “è  istituito un tavolo di coordinamento e di indirizzo […] composto da un rappresentante per ciascuna autorità competente” con compiti di “definizione degli indirizzi relativi all’attività di iscrizione e di vigilanza delle autorità competenti, nonché ai criteri generali di trasparenza e imparzialità, e alla misura dell’indennità dovuta per il servizio prestato dagli organismi ADR” (art. 141 octies, primo, secondo e terzo comma).


Successivi decreti ministeriali, od altri “provvedimenti interni” istituiranno gli elenchi degli organismi che operano in ambito nazionale e transfrontaliero essendo dotati dei requisiti stabiliti da ciascheduna autorità competente, che è altresì responsabile dell’iscrizione, della sospensione e della cancellazione degli organismi, sul cui operato “vigila” (art. 141 decies, primo e secondo comma) “sulla base di propri provvedimenti” (terzo comma).


Sempre alle autorità competenti gli organismi trasmettono, con cadenza biennale, i dati statistici relativi all’attività svolta, insieme alla “valutazione dell’efficacia della procedura ADR offerta dall’organismo e di eventuali modi per migliorarla” (art. 141 nonies, quarto comma). 


Come si vede, rispetto al quadro delineato per la mediazione dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, il Ministero della giustizia ha un ruolo marginale rispetto alle ‘procedure ADR’, e non sembrano in alcum modo definiti i rapporti fra la sezione speciale del registro di cui all’art. 16 dello stesso d.lgs. – riservata agli organismi dediti alla “trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo” – e gli elenchi tenuti dalle singole autorità competenti.


Certamente sono inadeguate anche le norme concernenti le competenze richieste agli organismi ed ai soggetti preposti alle procedure, così come alla formazione di questi ultimi.


Inoltre, sebbene ogni autorità competente “notifichi senza indugio l’elenco [degli organismi adr] al Ministero dello sviluppo economico”, i consumatori interessati ad informazioni sugli organismi stessi devono cercarle nei website delle singole autorità, difettando un’offerta unitaria e coordinata di informazioni di fonte ministeriale (art. 141 decies, quinto e sesto comma).


Il Ministero dello sviluppo economico, sostanzialmente, si limita a trasmettere – peraltro, “con il contributo delle altre autorità competenti” – ogni quattro anni alla Commissione europea “una relazione sullo sviluppo e sul funzionamento di tutti gli organismi ADR” atta ad identificare “le migliori prassi degli organismi ADR”, e, “se del caso” sia a sottolineare “le insufficienze, comprovate da statistiche” sia ad elaborare “raccomandazioni su come migliorare l’efficacia e l’efficienza” degli organismi (art. 141 decies, ottavo comma). 


Anche le attività di coordinamento fra gli organismi nazionali e degli altri Paesi dell’Unione, sono assicurate non già dal Ministero dello sviluppo economico, come apparirebbe logico data la sua veste di ‘punto di contatto unico’, bensì dalle autorità competenti, che pure “incoraggiano la cooperazione tra organismi ADR e autorità nazionali preposte all’attuazione degli atti giuridici dell’Unione sulla tutela dei consumatori“ (art. 141 septies).


5. Conclusioni


Gli indirizzi adottati in sede di recepimento della direttiva sulla composizione extragiudiziale dei conflitti di consumo e di utenza non sembrano, nel complesso, apportare regole di tutela per il consumatore maggiori rispetto alla situazione attuale, caratterizzata innanzitutto dalla negoziazione paritetica, nonché dalla mediazione volontaria disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ed infine dai numerosi casi di tentativo di conciliazione istituiti da leggi inerenti specifici settori, specie nella sfera delle public utilities.


La possibilità concessa agli organismi di istituire soglie minime e massime (?) di valore delle liti oggetto dei procedimenti adr, così come quella – diversa – di rifiutare la trattazione di una procedura non sembrano certo giovare al consumatore, e tantomeno giova il potere dell’impresa nell’indirizzare la scelta dell’organismo.


Quest’ultimo profilo è reso ancor più delicato dalle tariffe, della quali nulla si sa, se non che dovranno essere assai contenute: lecito, quindi, nutrire sospetti sulle motivazioni che, in assenza di remuneratività del servizio, potrebbero spingere taluni organismi ad operare: come già si è rilevato, la direttiva 20133/11/UE indica quale scelta prioritaria la gratuità del servizi, ed il nostro legislatore bene avrebbe fatto a considerare l’eventualità che un organismo pubblico, quale il sistema delle Camere di commercio, antesignano nell’offerta di procedimenti conciliativi nelle liti fra consumatori ed imprese, vedesse valorizzata la propria esperienza in sede di recepimento della direttiva stessa.


Le ambiguità in relazione alla scelta dell’organismo, in quanto – come già si è rilevato – l’art. 141 sexies (commi primo e secondo) dispone che i professionisti “sono obbligati ad informare [i consumatori] in merito all’organismo o agli organismi competenti per risolvere le controversie” nel “sito web del professionista, ove esista, e nelle condizioni generali applicabili al contratto di vendita o di servizi”, sono enfatizzate dal nono comma dell’art. 1 della proposta di d.lgs., che inserisce fra le clausole vessatorie elencate dall’art. 33 del codice del consumo quelle volte ad “imporre al consumatore che voglia accedere ad una procedura di risoluzione delle controversie […] di rivolgersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organismi ADR o ad un unico organismo”.


La Relazione (par. 4.2) conferma, del resto, che “al fine di evitare il preordinato indirizzamento del consumatore verso un organismo o tipologia ADR viene pertanto stabilita la vessatorietà (e quindi la nullità) delle clausole che prevedono non solo l’indicazione da parte del professionista di un unico organismo ADR, ma anche l’indicazione di una sola ‘tipologia’ di organismi ADR”.


Anche in questo caso la differenza fra ‘l’obbligo di informare’ e ‘l’imposizione di rivolgersi’ ad un dato organismo è assai tenue.


L’eterogenea commistione fra procedure differenti, alle quali sembrerebbe rimanere –se pur ambiguamente- estraneo l’arbitrato, vero e proprio convitato di pietra mai esplicitamente menzionato, non depone a favore della comprensione e della trasparenza: da rilevare, a questo proposito, che sebbene nella Relazione all’articolato si legga (par. 2) che “non viene esercitata l’opzione di prevedere organismi che abbiano la facoltà di imporre una soluzione”, concetto ribadito nell’Analisi di impatto della regolamentazione (sez. IV),  in realtà il quarto comma dell’art. 141 comprende il caso dell’organismo adr che  “adotta una soluzione”, coerentemente, del resto, alla legislazione in materia di public utilities che considera, insieme, l’offerta di servizi di conciliazione e di arbitrato.


Labile, poi, nella pratica la differenza fra ‘adottare una soluzione” e ‘proporre una soluzione’, espressione che ricorre al quinto comma dell’art. 141 quater, che consente simili procedure.


In definitiva, una maggiore chiarezza avrebbe comportato più trasparenza. 

 

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Autore:


Professore di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, ove è incaricato anche del corso di Diritto dei consumatori, è avvocato e co-direttore di Consumatori, diritti e mercato. E' responsabile scientifico di numerosi enti di formazione dei mediatori civili e commerciali.

1 Risposta a "L’attuazione della direttiva sulle ADR nelle liti di consumo"

  1. cesare vaccà scrive:

    Il provvedimento commentato in bozza è oggi il d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130 (pubblicato in GU n. 191 del 19 agosto).
    La lettura parallela del progetto e del testo definitivo mostra alcuni ritocchi formali, l'aggiunta di nuovi capoversi agli alinea b e g dell'art. 141 octies cod. consumo, e l'inserimento dell'art. 1 bis che modifica il d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, relativo alle procedure di conciliazione ed arbitrato amministrate da Consob.
    Il resto, purtroppo, è rimasto come era.
     

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