Metodi ADR: approccio al conflitto e nuovo ruolo dell’avvocato difensore


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Nel linguaggio e nel significato comune conflitto è una parola, un concetto, che rimanda allo scontro, alla lotta  e a qualcosa di  patologico da eliminare. In realtà è un fenomeno fisiologico della vita e di tutti i rapporti e non è possibile eliminarlo. Possono esserci però diversi modi per gestirlo.


Il professionista a cui le parti si rivolgono per l’assistenza ha la possibilità e il dovere di illustrare tutte le strade che possono essere intraprese per arrivare ad una soluzione e non limitarsi alla sola prospettiva del contenzioso giudiziario e di vittoria sull’avversario; egli è chiamato a valutare la strategia migliore nel perseguimento dei veri interessi e bisogni sottesi alla vicenda conflittuale portata dal cliente. 

L’art 2 della Legge 162/2014 prevede peraltro l’obbligo deontologico per l’avvocato di informare il cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione  di negoziazione assistita, così come è dovere  informare della condizione di procedibilità della Mediazione nei casi in cui essa è obbligatoria.


Ma al di là di quelli che sono le finalità deflattive attribuite dal legislatore ai metodi ADR e ai relativi obblighi posti conseguentemente in capo all’avvocato, tali metodi consentono di affrontare il conflitto in  modo diverso rispetto a quello avversariale e processuale. L’utilizzo di  strumenti diversi consente di andare anche oltre la pretesa espressa dal cliente e  di far vedere più lontano, aspetti magari prima nascosti. Tali metodi possono far giungere le parti in tempi brevi a soluzioni condivise, favorevoli per entrambe e quindi anche più durature rispetto a una sentenza che risolve il singolo episodio ma non può occuparsi del vissuto delle persone, andare a cogliere quelli che  sono gli aspetti sommersi dei contrasti, le emozioni e i veri bisogni delle parti.


Il conflitto può anche diventare un’occasione di cambiamento e crescita, come nella visione orientale: la crisi nell’ideogramma cinese è vista come la combinazione di due parole: pericolo e opportunità. 


Non sempre è facile intravedere l’opportunità, perché  quando si è  coinvolti in prima persona nel conflitto si è completamente in balia delle emozioni,  si vede solo la propria posizione e si rifiuta a priori ciò che l’altro dice. Però, così come per guardare un quadro fiammingo – pieno di particolari – è necessario allontanarsi un pochino perché da vicino non si colgono tutti i dettagli, allo stesso modo  in un conflitto si può allargare la visuale, ampliare e comprendere molti aspetti, impegnandosi nell’individuarli. 


A tal fine può essere utile  un mediatore o un professionista che abbia anche competenze relazionali e un approccio aperto, che aiuti i soggetti coinvolti a vedere le cose in un’ottica bifocale comprendente anche la controparte, dove non c’è solo un ruolo di vittima e uno di carnefice, un comportamento/colpa di una parte che ha causato la reazione dell’altro, una causa e un effetto. 


In una visione non avversariale si può capire che, in realtà, si viene a creare un movimento continuo, circolare, nel quale le persone interagiscono tra loro influenzandosi reciprocamente. Ci sono una serie di variabili  che operano in maniera da co-determinare i comportamenti di entrambi, tutto è legato e ognuno ha la propria responsabilità e ruolo nella dinamica conflittuale


Questo si vede molto chiaramente nei conflitti multiparte e che coinvolgono rapporti di durata come nella materia condominiale che è caratterizzata dalla molteplicità di soggetti coinvolti: il condominio è una parte collettiva e ci sono comunque più persone dietro la rappresentanza formale dell’amministratore; oltre ad esso poi possono essere chiamati singoli condomini o ci possono essere magari una o più società coinvolte (ad es. quando c’è stato un danno ed è coinvolta l’assicurazione o quando si tratta di lavori dati in appalto dal condominio ad una società che a sua volta ha subappaltato ad un’altra i lavori medesimi). Ciò caratterizza queste controversie per la necessaria particolare attenzione sia agli aspetti giuridici specifici sia agli aspetti umani e conflittuali delle molte persone coinvolte. Elementi questi che in sede giudiziaria non possono essere tutti affrontati e gestiti. Prendiamo ad esempio il caso delle immissioni di rumori o odori molesti fra vicini di casa, sono fattispecie che raramente trovano una soluzione definitiva in un giudizio. Il concetto di normale tollerabilità di cui all’art 844 c.c. lascia spesso insoddisfatti i contendenti e i rumori e le immissioni possono continuare comunque e magari anche essere generati per ripicca. 


O, ancora, ai casi di infiltrazioni o rotture di impianti  che possono essere causa di danni anche ingenti e insorgere da problematiche recidivanti se non ben individuate con la necessità di perizie molto costose. O le questioni che nascono nei rapporti di vicinato – ad esempio per l’acqua che cade dai balconi o per l’innaffiatura delle piante o per la battitura dei tappeti – e che apparentemente rappresentano mere inosservanze del regolamento condominiale ma che spesso generano “attacchi e contrattacchi” tra i condomini con una escalation del conflitto di difficile gestione. Fattispecie che portano spesso ad un ripetersi degli episodi conflittuali. 


Ecco perché vale la pena sperimentare i metodi non avversariali e aperti all’ascolto attivo, che possono essere utili nel mitigare l’aggressività  dando così la  possibilità ai soggetti coinvolti di confrontarsi sulla situazione, sulle modalità di svolgimento delle condotte contestate, sulle esigenze profonde  e sui valori e magari di arrivare a soluzioni migliori.


Nelle procedure ADR le parti hanno la possibilità di tornare ad essere le vere protagoniste della procedura e  a esprimere il loro potere decisionale nel trovare la soluzione con accanto il professionista che le “assiste” ma non si sostituisce a loro. A questo riguardo sta emergendo un nuovo ruolo dell’avvocato difensore che riacquista la posizione e la funzione consulenziale lasciando però alla parte le decisioni effettive.


Anche il legislatore nella normativa che ha introdotto la negoziazione “assistita” ha utilizzato appunto questo termine che mette in evidenza come il professionista sia chiamato proprio ad affiancare, a supportare il cliente in un percorso che viene  affrontato e gestito  però in prima persona solo dal diretto interessato. E così anche in mediazione dove sono le parti, “assistite” dai loro legali di fiducia, che trovano la soluzione più adatta a loro e per questo più duratura nel tempo. Al  ruolo dell’avvocato in giudizio che rappresenta in nome e per conto l’assistito si va ad aggiungere e a ridare importanza ad una ulteriore modalità in cui svolgere la professione .


Sul punto è stata pronunciata una interessante Ordinanza del Tribunale di Pavia (Dott Marzocchi 18.5.2015)  nella quale viene proprio evidenziato che l’art 5 del D.Lgs 28/2010 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore senza alcun riferimento alla rappresentanza e sottolinea quindi come sia necessaria l’effettiva partecipazione delle parti agli incontri di Mediazione e non dei soli avvocati. Lo stesso Giudicante in data 1.4.2015 si era espresso affermando che il tentativo di mediazione non possa ritenersi una mera formalità da assolvere con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare ma che debbano essere le parti, presenti, a esprimere la loro volontà di proseguire o meno in mediazione.


Ciò non significa che il difensore abbia un ruolo di minore importanza o venga sminuito, ma implica un ruolo che si diversifica nelle diverse procedure ADR  e va ad aggiungere una ulteriore competenza di primaria e assoluta necessità per il cliente, un approccio che vede la persona nel suo insieme e non solo la vicenda problematica e le strategie per vincere. Tale apporto si esplica sia nella fase preliminare di scelta della strada migliore per affrontare il conflitto, sia poi nella preparazione del cliente agli incontri della procedura scelta, che sia negoziazione assistita o mediazione o processo e – successivamente – durante la procedura stessa. 


Il cliente va “preparato” all’incontro di negoziazione o mediazione ed edotto sugli aspetti procedurali e di strategia, con particolare riferimento alla riservatezza e alla valutazione della eventuale proposta. 


Quanto al primo aspetto – la riservatezza – è importante nel preparare il cliente evidenziare e valutare insieme a lui cosa si vuole rivelare e cosa no,  quali informazioni fornire durante gli incontri di mediazione congiunti e quali aspetti invece riservare solo all’incontro separato con il mediatore. 


Quanto alla valutazione della proposta, della fattibilità ed effettiva utilità della stessa, sarà necessario focalizzare fin dall’inizio quali siano le alternative, le cosiddette BATNA (Best Alternative to a Negoziated Agreement ), in modo da valutare al meglio la proposta che può emergere durante l’incontro. 


Il professionista è chiamato quindi ad avere non solo la preparazione tecnico-giuridico ma ad allargare la visuale anche verso competenze relazionali: empatia, ascolto attivo, gestione delle emozioni in modo da poter scorgere nuove opportunità nella gestione dei conflitti.

 

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Autore:


Svolge la professione di avvocato in Milano, arbitro e mediatore accreditato in diversi Organismi di Mediazione sia pubblici che privati. Nelle materie civilistiche contrattuali e della responsabilità civile utilizza prevalentemente le metodologie delle Alternative Dispute Resolution (ADR).Collabora con l’associazione Altroconsumo in qualità di consulente.

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