E-commerce e showrooming: che cosa stanno combinando i consumatori con i loro smartphone?


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Tutti i distributori che hanno cercato di fornire al proprio cliente un elevato servizio informativo, mettendogli a disposizione personale qualificato in grado di aiutarlo nella scelta di beni complessi, hanno sempre trovato un ostacolo nella difficoltà di internalizzarne il valore. Detto altrimenti, e molto più semplicemente, una parte dei clienti utilizza la consulenza del personale, ma poi si rivolge e acquista da altri distributori che non offrono informazione sui beni proposti, hanno così costi più bassi e possono proporre prezzi più competitivi. Il fenomeno, un caso di cosiddetta free ridership, analizzato e formalizzato nella letteratura economica nel lontano 1960 da Lester Telser, ha effetti importanti perché porta a una diminuzione del livello di servizio necessario per prodotti complessi ad elevata differenziazione, o nuovi prodotti ancora non consolidati sul mercato. Infatti, i distributori ad elevato servizio, non riuscendo a pagarne il costo attraverso la vendita dei beni, che va  a vantaggio di coloro che non lo prestano, finiscono per essere costretti a ridurlo o a cessare di fornirlo per recuperare competitività.

 

Chi produce questo tipo di beni, e in particolare chi innova e/o offre specifiche particolari che necessitano di essere spiegate al consumatore, finisce, a sua volta, per non trovare nella distribuzione il supporto di cui necessita, è costretto a competere con concorrenti che offrono versioni base a prezzi più bassi e, come i distributori, finiscono per dover appiattirsi su tali versioni per ritornare competitivi. In definitiva, tutta la filiera implode verso una concorrenza di prezzo su varianti standard del prodotto, la differenziazione e l’innovazione si riducono e al consumatore viene a mancare una maggiore varietà d’offerta e la migliore soddisfazione dei suoi bisogni che da essa consegue.


Perché tornare oggi su questo ben noto fenomeno? Perché esso sta diventando sempre più comune con la diffusione dei dispositivi mobili che consentono il collegamento in rete, smartphone e tablet. Se una volta i free rider dovevano fisicamente cercare i distributori a basso prezzo e basso servizio, oggi devono solo collegarsi con un sito di e-commerce e verificare se il bene che hanno deciso di comprare, grazie alla consulenza ricevuta, è offerto ad un prezzo più basso. E’ il modello di business che da sempre connota l’impresa di e-commerce più grande e più nota, Amazon. Nata con la commercializzazione di libri, Amazon propone oggi un infinito catalogo di beni e fra questi molti di quelli che si prestano alla free ridership. In merito, il caso più eclatante è quello dell’elettronica di consumo. I beni sono infatti complessi, presentano un forte tasso di innovazione e sono prodotti da grandi marche che dominano i mercati di riferimento. Nulla di più semplice, quindi, che rivolgersi a un negozio di elettronica di consumo, farsi spiegare le differenze fra le versioni disponibili di un dato prodotto e poi, immediatamente, già nel negozio, verificare se esiste un’offerta on line più economica. Amazon facilita questo confronto grazie ad un app che permette di fotografare il codice a barre dei beni e di avere immediatamente la sua quotazione. E’ il fenomeno dello showrooming di cui oggi tanto si parla.


Ciò che è accaduto a Best Buy, la più grande catena di elettronica di consumo americana, ben esemplifica le dinamiche innescate da questo comportamento e alcuni possibili esiti che ne possono derivare. Dopo avere subito la concorrenza di Amazon ed essersi vista chiamare “Amazon’s showroom”, con risultati molto pesanti su vendite e margini, Best Buy dall’inizio del 2013 ha cominciato a reagire. La prima e più elementare reazione, in larga misura obbligata, è stata la generalizzazione del cosiddetto price matching: la promessa a tutti i clienti di vendere il prodotto al più basso prezzo offerto dalla concorrenza, di fatto da Amazon.  Ma anche se questa politica pare sia stata sufficiente a convincere una larga parte dei consumatori che i prezzi di Best Buy erano allineati con quelli on line e non valeva la pena di effettuare un confronto, l’azienda ha iniziato a fare di più per ricostruire la propria marginalità.

Nei primi mesi del 2013 ha così sottoscritto un accordo con Samsung per aprire nei suoi punti vendita 1.400 corner monomarca dedicati ai prodotti dell’impresa coreana. Samsung è così riuscita ad avere (a pagamento) una finestra diretta nel retail e a recuperare in questo modo una parte dello svantaggio sul suo principale concorrete, Apple, che dispone (dati di fine 2012), di 393 punti vendita monomarca che realizzano vendite per 16 miliardi di dollari. Best Buy non si è fermata qui, e pochi mesi dopo, in giugno, ha stretto un analogo accordo con Microsoft: 600 corner monomarca, con personale dedicato, per una superficie complessiva di più di 100.000 metri quadrati. Poiché i corner sono destinati ai computer che utilizzano il software di Microsoft, e poiché quasi tutti i computer lo fanno, di fatto si è trattato di identificare con Microsoft l’intera area in cui sono commercializzati questa categoria di prodotti.


Se ai corner di Samsung e di Microsoft si aggiungono quelli che già esistevano ed erano a disposizione di Apple, si comincia ad intravvedere una tendenza che potrebbe generalizzarsi, a partire dallo slogan che la stessa Best Buy ha esplicitamente adottato: “embrace showrooming = vendor showrooms”. Quindi, l’unico modo per non farsi travolgere dalla free ridership è di offrire ai produttori dei beni che più spingono i consumatori allo showrooming di gestire direttamente i loro spazi nei punti vendita. E’ evidente che ciò significa ribaltare su di essi la necessità di controllare i differenziali di prezzo dei loro prodotti nei diversi canali e, in particolare, i differenziali fra on e off line. E’ anche evidente, che il modello che potrebbe generalizzarsi è quello che oggi è riuscita a costruire solo Apple: un’offerta integrata on e off line sul suo sito e nei suoi monomarca, con, presumibilmente, la disponibilità a servire altre insegne distributive a patto di comportamenti “compatibili” nelle loro politiche di prezzo. Non si tratta, del resto, di un modello particolarmente originale, perché è quello già in essere nella gran parte del settore del lusso, dove avviene esattamente lo stesso e la concorrenza fra marche si svolge nel confronto fra sistemi “chiusi”, interamente controllati a tutti gli stadi della filiera dalla singole griffe.


Il confronto di prezzo che i dispositivi mobili oggi consentono, mettendo il consumatore in grado di verificare ovunque si trovi e, in particolare, quando è di fronte a un prodotto in un punto di vendita fisico, i prezzi on e off line, sembrano realizzare la previsione che molti avevano fatto all’inizio della diffusione dell’e-commerce: una totale trasparenza dei prezzi. Se infatti il personal computer consente in teoria la stessa cosa, di fatto richiede due ricerche fisicamente separate, una a casa, o là dove sia disponibile il computer, e una nei punti di vendita.

I dispositivi mobili consentono invece una ricerca immediata e contestuale che rende assai più facile il confronto e quindi espone i distributori che hanno una rete di vendita al fenomeno dello showrooming: i negozi servono per valutare l’offerta e l’e-commerce, se il prezzo è conveniente, per finalizzare l’acquisto. L’unico modo, o per lo meno il più efficace, di non esporsi agli effetti dello showrooming, è di disporre di un sistema chiuso, come oggi si dice, omnichannel, in cui l’offerta on che off line sono compatibili e coerenti. Ma un sistema di questo tipo, per funzionare, è inevitabilmente integrato verticalmente: il produttore controlla il suo sistema di distribuzione, sia fisico che virtuale. Ne consegue un forte incentivo a realizzare un simile modello, con imprese integrate verticalmente che si confrontano senza più ricorrere, o ricorrendo in modo “amministrato”, a intermediari indipendenti. Una trasformazione non di poco conto, specie se essa avviene, come nel caso dell’elettronica di consumo e del lusso, a scala globale.

 

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Ordinario di Marketing presso l’Università IULM di Milano. E’ presidente della società di ricerca e consulenza TradeLab.E' membro dei comitati di redazione delle seguenti riviste: The International Review of Retail, Distribution and Consumer Research; European Retail Research; Journal of Marketing at Retail; Sviluppo e Organizzazione; Economia dei Servizi; Consumatori, Diritti e Mercato; Mercati e competitività.

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