Google, privacy e concorrenza: urgono soluzioni strutturali nell’interesse generale


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Con una sentenza che ha già fatto molto discutere e che potrebbe avere conseguenze non di poco momento, almeno per quanto concerne il vecchio continente, sugli equilibri e sugli sviluppi futuri della rete Internet la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta lo scorso 13 maggio sulla vexata quaestio del bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’accesso all’informazione online stabilendo che i gestori dei motori di ricerca sono responsabili per il trattamento dei dati personali da essi indicizzati che appaiono su pagine web pubblicate da terzi e che ogni cittadino europeo può pertanto chiedere direttamente ai motori di ricerca la cancellazione dei propri dati personali. In tali evenienze, ove sussistano determinate condizioni, secondo i giudici di Lussemburgo si ingenera un obbligo in capo ai motori di ricerca di eliminare dall’elenco di risultati che appaiono a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative alla persona stessa. Questo vale, si badi bene, anche nei casi in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, addirittura anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.


Di certo nella ponderazione in corso tra i diversi valori in gioco il pendolo si è così sensibilmente spostato dalla salvaguardia del diritto all’informazione in rete verso il diritto all’oblio ma, lungi dal rappresentare un concreto e stabile punto di arrivo, l’arresto della Corte di Giustizia, non fosse altro per il fatto di trovare come propria base giuridica la vecchia Direttiva 95/46  destinata ad essere sostituita dal Regolamento che riformerà integralmente il quadro giuridico in materia di protezione dei dati personali, pare invece costituire un momento di passaggio importante ma non definitivo nell’ambito del processo politico che, dopo le imminenti elezioni europee, dovrà essere finalizzato dal nuovo Parlamento e la nuova Commissione. Come avremo meglio modo di esplicitare di seguito, data la delicatezza e la complessità delle questioni sottese, non è tuttavia affatto scontato che la svolta “politica” promossa in questo modo dalla Corte scaturirà in un effettivo beneficio nell’interesse dei cittadini e consumatori europei.


Il caso


A provocare questo vero e proprio scossone allo status quo in materia di diritto all’oblio è stato un semplice cittadino spagnolo che con ostinazione è riuscito a condurre la propria battaglia di principio fino alla Corte di Giustizia e ad avere infine la meglio in quella sede contro il Golia californiano Google.


Nel 2010 il Signor Costeja González presentava reclamo all’AEPD (Il Garante Privacy spagnolo) contro La Vanguardia Ediciones SL, contro Google Spain e Google Inc. lamentando il fatto che inserendo il suo nome in Google quale risultato della ricerca si ottenevano link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia sulle quali figurava un annuncio, menzionante il nome del signor González, per una vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.


Con tale reclamo, considerato che il pignoramento effettuato nei suoi confronti era stato interamente definito da svariati anni e che la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza,  il Signor González chiedeva, da un lato, che fosse ordinato a La Vanguardia di sopprimere o modificare queste pagine affinché i suoi dati personali non vi comparissero più, dall’altro lato, che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia.


L’AEPD pur respingendo il reclamo del Signor González per quanto concerneva le sue doglianze nei confronti di La Vanguardia, in quanto la pubblicazione delle informazioni in questione era da ritenersi legalmente giustificata, dato che aveva avuto luogo su ordine del Ministero del Lavoro e degli Affari sociali e aveva avuto lo scopo di conferire il massimo di pubblicità alla vendita pubblica, al fine di raccogliere il maggior numero di partecipanti all’asta, ordinava al contrario a Google la rimozione dei dati.


Google Spain e Google Inc. proponevano ricorso contro tale decisione dinanzi all’Audiencia Nacional, che sottoponeva alla Corte di Giustizia una serie di questioni pregiudiziali chiedendo in sostanza, sulla base di una corretta interpretazione della Direttiva 95/46 “quali obblighi incombano ai gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone interessate, le quali non desiderino che alcune informazioni, pubblicate sui siti web di terzi e contenenti loro dati personali che consentono di collegare ad esse dette informazioni, vengano localizzate, indicizzate e messe a disposizione degli utenti di Internet in modo indefinito”.


Un aspetto abbastanza peculiare se non grottesco della vicenda consta nel fatto che, nonostante il suo clamoroso successo, quella del nostro Davide spagnolo si è rivelata con tutta evidenza una vittoria di Pirro. Il Signor Costeja González rivendicava infatti che fosse sostanzialmente cancellata dal web la memoria di una vecchia vicenda negativa della sua vita che continuava a danneggiare la sua reputazione online e, per assurdo, proprio la sentenza che finalmente è intervenuta a certificare la bontà e il pieno diritto della sua pretesa, a causa della notorietà acquisita ha in sostanza diffuso e scolpito indelebilmente la sua storia non solo nel web ma anche in prospettiva in molti libri di diritto. Celiando si potrebbe dunque definire il Signor González come un vero e proprio benefattore del diritto all’oblio altrui anche se a diretto ed evidente discapito del proprio!


Analizziamo ora di seguito, senza alcuna pretesa di esaustività, il ragionamento giuridico sviluppato dalla Corte di Giustizia e sotteso alle quattro massime della sentenza in esame.


Il gestore di un motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali nell’ambito delle sue precipue attività


Nella propria disamina la Corte prende le mosse dalla risposta alla seconda questione preliminare postale dal Tribunale spagnolo fornendo soluzioni convincenti. Così in merito si esprime il Paragrafo 41 della Sentenza: “l’articolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del trattamento summenzionato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di cui sopra”. Non vi è più alcun dubbio dunque sul fatto che i motori di ricerca debbano essere considerati responsabili del trattamento dei dati personali per quanto concerne le loro precipue attività.


Motori di ricerca e giurisdizione competente


Va poi sottolineato, altrettanto favorevolmente, come la Corte abbia colto l’occasione di questa sentenza per precisare con estrema chiarezza l’ambito di applicazione territoriale della Direttiva 95/46 per quanto concerne le attività dei motori di ricerca stabilendo che vi è giurisdizione di uno Stato membro qualora il gestore di un motore di ricerca apra in esso una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca stesso, l’attività del quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro. Così in merito i Paragrafi 55 e 56 della sentenza: “occorre affermare che il trattamento di dati personali realizzato per le esigenze di servizio di un motore di ricerca come Google Search, il quale venga gestito da un’impresa con sede in uno Stato terzo ma avente uno stabilimento in uno Stato membro, viene effettuato «nel contesto delle attività» di tale stabilimento qualora quest’ultimo sia destinato a garantire, in tale Stato membro, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti dal suddetto motore di ricerca, che servono a rendere redditizio il servizio offerto da quest’ultimo. Infatti, in circostanze del genere, le attività del gestore del motore di ricerca e quelle del suo stabilimento situato nello Stato membro interessato sono inscindibilmente connesse, dal momento che le attività relative agli spazi pubblicitari costituiscono il mezzo per rendere il motore di ricerca in questione economicamente redditizio e che tale motore è, al tempo stesso, lo strumento che consente lo svolgimento di dette attività”. E, ad abundantiam, il successivo Paragrafo 57: “la visualizzazione stessa di dati personali su una pagina di risultati di una ricerca costituisce un trattamento di dati personali. Orbene, poiché la suddetta visualizzazione di risultati è accompagnata, sulla stessa pagina, da quella di pubblicità correlate ai termini di ricerca, è giocoforza constatare che il trattamento di dati personali in questione viene effettuato nel contesto dell’attività pubblicitaria e commerciale dello stabilimento del responsabile del trattamento nel territorio di uno Stato membro, nella fattispecie il territorio spagnolo”.


Le successive due massime sono, invece, ad avviso dello scrivente quelle più critiche.


Bilanciare adeguatamente diritti e interessi fondamentali


Vale la pena di precisare a scanso di equivoci come, al lordo di alcuni primi commenti fuorvianti, la Corte di Giustizia non abbia affatto sostenuto semplicisticamente con la sua sentenza che ogni cittadino può ora richiedere ai motori di ricerca l’eliminazione di link a pagine web quando il suo nome è usato come termine di ricerca. Tali richieste dovranno infatti comunque soddisfare i requisiti di cui all'articolo 12 (b) (diritto di cancellazione) e/o all'articolo 14 (diritto di opposizione) della Direttiva 95/46. Detto in estrema sintesi, queste disposizioni richiedono un adeguato bilanciamento tra contrapposti diritti ed interessi e in tal senso si esprime esplicitamente il Paragrafo 81 della Sentenza. La Corte aggiunge altresì che a fronte di una richiesta eventualmente non accolta dal motore di ricerca, “la persona interessata può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino al suddetto responsabile l’adozione di misure precise conseguenti” (Paragrafo 77 della sentenza). Rimane tuttavia il forte dubbio che affidare in prima battuta questo ruolo delicatissimo di bilanciamento tra diritti fondamentali ai gestori dei motori di ricerca possa risultare da una parte difficilmente percorribile e, dall’altra, ingenerare pericolose distorsioni. Altra cosa che non convince per nulla è che, secondo quanto stabilito dalla sentenza, si possa chiedere ed ottenere la deindicizzazione dai motori di ricerca di dati e informazioni anche nel caso in cui questi non siano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web dove sono stati pubblicati, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.


Un onere ed un potere discrezionale troppo ampi in capo ai gestori dei motori di ricerca
 

Ma su quali presupposti dovranno i motori di ricerca svolgere questo delicato ruolo? “…i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”. Leggendo quest’ultima massima si ricava la netta impressione che la Corte di Giustizia non sia riuscita, o forse più semplicemente non abbia voluto, consegnarci soluzioni effettivamente e direttamente applicabili. Le indicazioni della Corte appaiono troppo generiche ed aleatorie ed Il rischio evidente è quello di lasciare un potere discrezionale troppo ampio in capo ai gestori dei motori di ricerca. Soggetti che abbiano a disposizione tempo e denaro a sufficienza per minacciare azioni legali potranno esercitare così ogniqualvolta nei confronti di Google e gli altri motori di ricerca un preteso diritto all'oblio rispetto a notizie scomode ottenendo verosimilmente una tutela molto più ampia di quanto consentirebbe loro un corretto bilanciamento con il diritto all’accesso ad un’ampia e libera informazione. D’altra parte, non si comprende per quale motivo e spinti da quali interessi Google e gli altri motori di ricerca dovrebbero opporsi a tali pressanti e presumibilmente numerosissime richieste. Il punto critico a ben vedere consta proprio nel riconoscere ai motori di ricerca un ruolo rilevantissimo di interesse pubblico che non è loro proprio quali soggetti meramente privati e, nel caso specifico di Google, nel rischiare di rafforzare il suo potere dominante in rete anziché di ridurlo. A contrapporsi a pretese esorbitanti di esercizio del diritto all’oblio dovrebbe essere l'interesse generale ad una ampia e corretta informazione nei limiti ovviamente di un adeguato e proporzionale bilanciamento, ebbene a quale titolo l’Ordinamento affiderebbe ai motori di ricerca tale compito di tutela di un interesse generale con rilevanza costituzionale? Noi cittadini non abbiamo mai delegato in alcuna forma Google a fare questo né esiste alcuna norma che lo preveda. Non solo Google non è un Giudice o una Autorità indipendente ma, quale soggetto privato, non ha probabilmente alcun interesse economico a svolgere in maniera adeguata tale compito.


Conclusioni
 

Al lordo della evidenziata impercorribilità delle soluzioni proposte la sentenza della Corte di Giustizia ha il pregio di aver ribadito con estrema chiarezza come la giurisdizione europea trovi applicazione nei confronti di imprese che aprano una succursale o una filiale in uno Stato membro e che dirigano le proprie attività verso l’Unione europea, questo anche quando, nel caso dei motori di ricerca, tali succursali o filiali  siano destinate alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca stesso. Altrettanto apprezzabile appare il fatto che la sentenza abbia ribadito senza mezzi termini che la privacy dei cittadini è un diritto fondamentale e che, in quanto tale, deve sempre prevalere sugli interessi economici delle società operanti in rete, in particolare dei gestori dei motori di ricerca.


Il punto debole della sentenza consta invece, come già detto, nel delegare ai gestori dei motori di ricerca in prima battuta, e a Google in particolare, un ruolo che non può svolgere efficacemente rebus sic stantibus per quanto concerne il bilanciamento di interessi primari di rilevanza costituzionale. Diverso potrebbe essere invece ove tale soluzione si inquadrasse nell’ambito di un rimedio ben più strutturale.


Pare essere in effetti ormai giunto il momento di prendere atto che il ruolo svolto da Internet e dai motori di ricerca nell’odierna società dell’informazione non è più quello di 20 anni fa, che la loro iniziale caratteristica di piattaforme neutrali è stata annacquata alla luce delle multiformi attività che hanno via via intrapreso, e che la risposta che l'Ordinamento deve dare a situazioni che possono cagionare lesioni di diritti primari della personalità dovrebbe richiamarci ad uno sforzo creativo volto a trovare soluzioni solide, appropriate e a prova di futuro nell’attuale contesto di evoluzione tecnologica e di mercato.


In tal senso, venendo più in particolare a Google, è fuori di dubbio come suo merito sia stato finora quello di avere portato incredibile innovazione in Internet e trasferito valore agli utenti, grazie soprattutto ad un modello di business vincente che, sulla base del geniale connubio tra le attività di search e di pubblicità online, gli ha consentito di sbaragliare la concorrenza, fino al punto di diventare di fatto una infrastruttura globale integrata e complessa, al momento non replicabile, rispetto alla quale le sole forze del mercato non sembrano essere più in grado di salvaguardare l’interesse generale. Sono infatti molteplici i segnali di sofferenza se è vero come è vero che Google, per altro verso, appare ormai in grado di porsi tendenzialmente al di fuori e al di sopra del diritto positivo degli Stati nei quali opera.


Ecco allora che l’ipotesi della separazione strutturale tra attività di search e di gestione della raccolta pubblicitaria online, di cui si è già discusso nell’ambito del dibattito che ha fatto seguito all’avvio del procedimento antitrust nei confronti di Google da parte della Commissione europea per quanto concerne il mercato del search, potrebbe garantire una soluzione solida alle problematiche concorrenziali in quella sede evidenziate e contestualmente anche a quelle inerenti la privacy e l’esercizio del diritto all’oblio. Si creerebbero infatti in tal modo quelle precondizioni necessarie, ora inesistenti, perché il ruolo di bilanciamento degli interessi individuato dalla Corte di Giustizia nella sentenza in esame possa essere delegato alla separata divisione del search di Google che verrebbe così ad assumere una funzione di essential facility.


Certo, implementare questa soluzione non sarebbe affatto semplice o indolore ma, per converso, soluzioni apparentemente meno impattanti presenterebbero la pecca di non affrontare seriamente il problema sempre più evidente costituito da un soggetto ampiamente dominante sul mercato del search che, oltre a non dover rendere giustamente conto a nessuno sui propri algoritmi, maneggia contestualmente, in un regime di concorrenza altrettanto precario e in assenza di un efficace controllo pubblico o diffuso, i delicati meccanismi della gestione dei dati in rete. Si tratta di uno scenario in prospettiva preoccupante, considerato che le scelte e le tecnologie che adotta tale soggetto hanno una diretta influenza sulla vita di ognuno di noi, sulla nostra libertà di informazione e su come ci viene presentato il mondo attraverso occhi che non sono i nostri.

Anche di questo si parlerà al Ferrara Altroconsumo Festival sabato 17 maggio alle ore 16.00

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Autore:


Responsabile delle Relazioni Istituzionali per Altroconsumo, coordina le attività di advocacy dell’associazione: esposti, denunce e segnalazioni alle Autorità competenti.

2 Risposte a "Google, privacy e concorrenza: urgono soluzioni strutturali nell’interesse generale"

  1. Giorgio Pedrazzi scrive:

    Sicuramente il cd effetto Streisand si è già prodotto nei confronti del cittadino spagnolo che ha promosso la vicenda ed è emblematico della vicenda. Ogni soluzione tecnica e giuridica produce un notevole impatto e non sempre è proporzionale alle esigenze e ai diritti che si mira a tutelare.

  2. Marco Pierani scrive:

    Osservazione molto puntuale, effetto Streisand che potrebbe peraltro moltiplicarsi se la prassi di chiedere ai motori di "essere dimenticati" dovesse prendere ampiamente campo a seguito della sentenza ECJ con tutto il contenzioso che andrebbe a ingenerarsi e che rimbalzerebbe inevitabilmente di nuovo in rete

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