Screening con PSA: più danni, più costi, stessi morti!*


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* Coautori Dott. Giuseppe La Maestra, Dott.ssa Antonella Nieddu
Specializzandi in Igiene – Università Milano Bicocca

 

Premessa

In Italia si diagnosticano ogni anno circa 45.000 casi di cancro prostatico con circa 8.500 morti: meno del 3% delle morti nei maschi. Molti continuano a credere che la soluzione migliore sia fare PSA di screening dai 50 anni in poi e operare i casi individuati. C’è poca consapevolezza dei danni che possono fare in una popolazione screening e interventi che ne conseguono, e della necessità di confrontarli sempre con i danni che possono fare, o non fare, molti tumori.
In effetti moltissimi cancri prostatici (e di altri organi) non progrediscono: lo dimostrano le autopsie di uomini morti per altre cause. In 65enni circa 2 autopsie su 3 hanno rilevato cancri prostatici, in 80enni 4 autopsie su 5. Molti cancri senza sintomi scoperti con PSA non avanzano, o lo fanno così lentamente che non avrebbero dato sintomi per tutta la vita.


Perché fare screening con PSA?


Per aver senso, lo screening dovrebbe:
1) migliorare la qualità di vita di chi riceve la diagnosi, ma soprattutto
2) allungare la vita, riducendo le morti da cancro alla prostata, senza aumentare in pari misura altre cause di morte.

Il risultato 1) è molto improbabile. Infatti, per ogni 1.000 maschi di 55-69 anni che fanno PSA di screening per 10 anni, i dati mostrano quanto riportato nella Fig. 1. Difficile parlare di miglior qualità di vita per l’insieme dei 1000 maschi che fanno questo test!


Fig. 1 – Numeri sui benefici e danni del PSA di screening

 

 

Donzelli_fig. 1

 

 

 

 

 

Fonte: raccomandazioni della US Preventive Services Task Force (USPSTF) – gruppo indipendente USA di esperti in prevenzione e medicina basata sulle prove, che valuta studi scientifici su argomenti come gli screening, producendo revisioni sistematiche e raccomandazioni per i sistemi sanitari.
I dati sono frutto di stime e possono contenere qualche imprecisione. PSA effettuato ogni 1-4 anni. 
*Dopo biopsia, 120 persone con PSA positivo sono risultate falsi positivi, cioè senza tumore prostatico.

 

Ma anche il risultato 2) è improbabile. Infatti una revisione sistematica di tutte le ricerche valide sul tema e una sintesi delle revisioni su screening e mortalità concludono per un risultato del tutto nullo sulla mortalità totale, e per l’assenza di una riduzione significativa di mortalità da cancro prostatico.

 

La ricerca europea ERSPC (European randomized study of screening for prostate cancer)


I fautori dello screening si appellano però a questa grande ricerca, condotta in 8 paesi Italia compresa, di discreta qualità e l’unica ad aver dimostrato una riduzione di mortalità da cancro prostatico: -21% a 13 anni (mentre le altre, criticate, mostrano addirittura tendenza all’aumento di mortalità da cancro alla prostata).
In ERSPC il risultato è stato molto influenzato da quello di Svezia e Olanda; gli altri paesi partecipanti non hanno avuto riduzioni significative di mortalità da cancro prostatico.


Che messaggio è arrivato ai medici?
Questo: “Dopo 13 anni il PSA di screening riduce in modo significativo la mortalità: salva vite”. Purtroppo ciò non è vero. Infatti in ERSPC si sono “evitate morti da cancro
prostatico”, ma sono aumentate altre morti, e il bilancio complessivo ad oggi non registra vite salvate (Tab. 1).

 

TABELLA 1

 

 

 

 

 

 

 

Commento


Dato che la mortalità per cancro prostatico è quasi il 3% della mortalità totale nei maschi, una sua riduzione del 21% dovrebbe tradursi nello 0,6% circa di mortalità totale in meno: e molti direbbero comunque che è poco, dato che in ERSPC per ogni morte da cancro prostatico evitata si sono operati 27 tumori (con le complicanze descritte in Fig. 1), dei quali molti non si sarebbero mai manifestati. Ma dopo 13 anni la mortalità non si è ridotta.


Perché i maschi decidono di fare PSA di screening?


Un’indagine su un campione rappresentativo nazionale USA di adulti dai 50 anni che avevano discusso di screening per cancro prostatico con un medico ha mostrato che fare il PSA si associava in modo significativo con: il consiglio del medico, l’aver discusso dei pro (e non dei contro), e soprattutto il pensare che riduca la mortalità.
I medici e i cittadini non sembrano sfiorati dall’idea che il PSA non riduca la mortalità totale e che dia dunque serie complicanze senza prova di benefici netti, creando quel “disastro sanitario” denunciato con clamore proprio dall’inventore del PSA.
Gli assistiti devono essere grati al curante che spiega i rischi del PSA, ed educa a proteggere la prostata con comportamenti salutari.

 

La sorveglianza attiva

 

Negli ultimi anni la proporzione di trattamenti radicali indicata in Fig. 1 per diagnosi che fan seguito allo screening si sta riducendo a favore della sorveglianza attiva, che monitora tumori localizzati e a basso rischio di progressione, ripetendo con regolarità alcuni esami, invece di asportarli subito. Lo scopo è di individuare eventuali segnali di progressione, che consiglino una prostatectomia. Questa si verifica comunque in una parte dei casi anche perché alcuni pazienti non reggono l’ansia, e optano nel tempo per un intervento radicale.
Lo schema tipico di sorveglianza prevede:

  •  PSA, ogni 3-6 mesi
  •  esplorazione rettale, ogni 3-6 mesi per i primi 2 anni, quindi annuale
  •  biopsie prostatiche annuali (o biennali). In alcuni casi si esegue la cosiddetta biopsia di saturazione, in anestesia generale, con prelievi più numerosi rispetto alla biopsia standard, anche fino a 30. Questa forma di biopsia ha maggiori probabilità di trovare cellule tumorali, perché più rappresentativa di tutte le aree della prostata. Alcuni centri propongono anche ecografie e risonanze magnetiche.

 

Per chi ha effettuato PSA di screening senza chiara consapevolezza delle conseguenze e scopre un tumore a basso rischio, la sorveglianza attiva può essere un’opzione preferibile alla chirurgia. Purtroppo per gran parte degli urologi è diventata un modo per far uscire dal dilemma “effettuare o no lo screening”, e per consigliarlo comunque a tutti, “tanto, nel caso, si potrà scegliere la sorveglianza attiva”. In questa versione, anche la sorveglianza attiva rischia di alimentare un business di dimensioni imponenti. 

 

Costo indicativo annuale di un programma di sorveglianza attiva:
•    PSA: € 15 x 2-4  € 30-60     
•    Visita con esplorazione rettale: € 90 x 2  € 180
•    Biopsia: € 50

Totale: € 280 circa. Tale cifra, moltiplicata per (almeno) 5 anni, sale già a € 1.400.
Ma ogni anno lo screening aggiunge decine di migliaia di nuove diagnosi, e la riserva di tumori prostatici è talmente elevata (quasi ogni maschio che viva abbastanza a lungo ne è portatore, benché molto spesso asintomatico) da assicurare un altissimo rendimento per l’industria del loro screening e trattamento.
Certo, il soggetto ben informato dei pro (incerti) e dei contro (tanti, certi e seri) di questo screening deve avere la libertà di poterlo scegliere. Ma allo stato delle conoscenze il SSN non dovrebbe in alcun modo incoraggiarlo, promuovendo in alternativa stili di vita salutari, senza i gravi effetti avversi innescati dal PSA e con ben altro rendimento in termini di salute.

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Autore:


Medico specialista in Igiene e Medicina preventiva e in Scienza dell’Alimentazione, da 42 anni a tempo pieno nella Sanità pubblica. Già membro del Consiglio Superiore di Sanità. Oggi dirige l’Area Educazione all’Appropriatezza ed EBM dell’ATS della Città Metropolitana di Milano. Direttore editoriale delle Pillole di buona pratica clinica per medici e Pillole di educazione sanitaria per assistiti. Consiglio direttivo della Fondazione Allineare Sanità e Salute.

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