Analisi della risoluzione del Parlamento Europeo sul negoziato TTIP alla vigilia del X Round


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L’8 luglio 2015 436 tra i 709 deputati presenti al Parlamento europeo hanno votato una risoluzione a favore della creazione di un’area di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa, che da sola vale circa la metà del commercio mondiale e che dovrebbe non solo portare più occupazione e crescita economica (lettere A e B) per centrare l’obiettivo della Commissione Junker di aumento del PIL nell’area UE dal 15% al 20% entro il 2020, ma anche avere un effetto stabilizzante nel panorama del commercio internazionale (lettere C, D, E, I, J). 


Si dice anche che l’accordo TTIP, se approvato, potrebbe essere in grado di creare standard comuni e regole che potrebbero essere adottate a livello globale, di cui paesi terzi potrebbero beneficiare, ma si dimentica che paesi della dimensione della Cina o della Russia difficilmente subirebbero tale egemonia culturale ancor prima che economica. La sede della discussione di standard internazionali, ricordano anche esponenti dei movimenti stop TTIP, è bene restino ISO, il Codex alimentarius per i prodotti agricoli, UNECE, World Forum Harmonization of Vehicle Regulations perché in queste sedi, più che in altre, si cerca faticosamente il consenso multilaterale sul rafforzamento degli standard internazionali di sicurezza per rafforzare la qualità dei prodotti e promuovere la tutela dell’ambiente e dei diritti, senza che siano considerati un costo da abbattere per le imprese EU pena la delocalizzazione, come enunciato dalla risoluzione del PE alle lettera F.


Se è vero che in un contesto sempre più competitivo  il rischio di dumping sociale, ovvero di delocalizzazione delle produzioni in paesi con regole meno stringenti è alto – lettere G, H – come ricordato è altresì vero che i consumatori sono sempre più sensibili alla responsabilità sociale delle imprese, soprattutto nell’area comune di 850 milioni di consumatori come quella rappresentata dal mercato USA-UE. Perché quindi se si devono armonizzare le norme non convergere sugli  standard più elevati visto che i maggiori costi sarebbero poi compensati da maggiori potenziali volumi di vendite? Perché non affrontare con più coerenza i cambiamenti climatici e la dipendenza energetica? 


In parte il Parlamento europeo ha accolto alcune delle istanze provenienti dalla società civile, in primis ha riconosciuto il deficit di trasparenza (lettera M) determinato dal grado di riservatezza iniziale, che ha però comportato un deficit di controllo democratico sul processo negoziale.  Il Parlamento ha dunque appoggiato la decisione del Consiglio sotto presidenza italiana di declassificare il 9 ottobre 2014 le proprie direttive e di rendere accessibili i risultati dei negoziati (lettera Q) esortando la Commissione a procedere in modo inclusivo, tenendo conto della preoccupazioni dei cittadini. Vanno anche in questa direzione una serie di iniziative sul dialogo con i cittadini, in particolare del  BEUC che è l’organizzazione europea cui appartiene Altroconsumo, che chiedevano fossero salvaguardati nella cooperazione regolamentare dei negoziati TTIP standard di sicurezza correlati al principio di precauzione e diritti dei consumatori,  l’ambito sia dei servizi finanziari che della tutela dei dati personali.


In particolare la risoluzione alla lettera N recita che il presidente Junker ha chiaramente ribadito nei suoi orientamenti politici di auspicare il raggiungimento di un accordo con gli USA che sia equilibrato e che porti passi avanti nel riconoscimento reciproco di norme di produzione, ma che nella definizione di norme transatlantiche la UE non intende sacrificare le proprie norme in materia di sicurezza alimentare, servizi di interesse generale che non sono negoziabili a meno che lo scopo sia quello di conseguire un grado di tutela superiore protezione dei dati personali dei cittadini europei;  in particolare alla lettera O si ammette che è importante proseguire i negoziati su Safe Harbor sulla protezione dei dati. Ovviamente occorrerà monitorare da vicino l’implementazione di questi principi, perché siano salvaguardati gli standard fitosanitari  Efsa per esempio e non si proceda alla decontaminazione delle carcasse animali come è consentito fare in US con cloro e perossidi e non si commercializzino carni trattate con antibiotici visti i rischi per ambiente e salute umana. Su vantaggi e svantaggi nel settore agroalimentare ampiamente abbiamo dibattuto nel corso del III° Festival di Altroconsumo e, considerati i dubbi rimasti da questo punto di vista è una salvaguardia il fatto che l’accordo TTIP, una volta raggiunto, dovrà essere poi ratificato da 28 Stati e dal Parlamento Ue (lettera S).


Conclusioni

IL TTIP è un accordo che dovrebbe portare ad una maggiore compatibilità dei regimi normativi di USA e UE, questo dovrebbe portare ad un abbattimento dei costi per le imprese coinvolte nel commercio transatlantico di circa il 10% e potrebbe beneficiare i consumatori in prezzi più bassi per beni e servizi. Laddove tuttavia si rischia non di sviluppare regole condivise e/o arrivare al mutuo riconoscimento, bensì di subire l’egemonia USA sono state escluse dai negoziati industria audiovisiva e tutela IGP, così come è fatta salva per le autorità locali la possibilità di normare l’ambito dei servizi di interesse generale: educazione, servizi di utilità sociale, sanità, acqua.  Allo stesso modo, dove l’assetto normativo è stato riconosciuto essere particolarmente diverso come nell’ammissione di OGM, utilizzo di ormoni, clonazione ed utilizzo delle sostanze chimiche censite da REACH, non ci sarà cooperazione regolatoria, almeno nell’immediato. Viceversa si dice di voler lavorare congiuntamente per migliorare gli standard di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica anche negli appalti pubblici, public procurement e bilanciare tutela della proprietà intellettuale e accesso ai farmaci. Alla vigilia del X round negoziale il testo della Risoluzione di luglio è insomma forse un risultato incoraggiante dall’inizio delle trattative nel 2013, ma non si può, né si deve, abbassare la guardia nei confronti dei negoziatori. E’ pur sempre una risoluzione, quindi non legalmente vincolante anche se politicamente impegnativa, né è stato un testo ambizioso fino in fondo, quando si guarda in particolare alla riformulazione della clausola ISDS. Si dice infatti di voler sostituire la clausola, per altro presente in altri trattati internazionali come il CETA, con un nuovo sistema extragiudiziale – sul punto è intervenuto anche Manlio Frigo su www.consumatoridirittimercato.it per risolvere le controversie tra investitori e Stati che non dovrebbe minare l’obiettivo di politica pubblica garantendo rispetto dei principi democratici e possibilità di appello, ma che di fatto crea due regimi, per gli investitori esteri e per quelli domestici. Ma allora a cosa sono serviti tutti i considerando sulla creazione di valori condivisi, armonizzazione non tariffaria tra due entità politico economiche che hanno l’ambizione di essere una guida per il pianeta? Resta sempre il sospetto che a dettare l’agenda siano i negoziatori che siedono a Londra o Wall Street più che a Bruxelles o a Washington. 

 

 

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Autore:


Segretario generale di Altroconsumo e membro del Consiglio direttivo dell’associazione dal 1997. E’ responsabile delle Relazioni esterne dell’organizzazione e suo rappresentante presso il Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti del Ministero dello Sviluppo economico. Partecipa all’esecutivo BEUC dal 2008 dove è stata eletta nel 2012. Socio FERPI dal 2000, collabora con CDM e con le università dal 1998 perché crede nella contaminazione culturale.

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