Sicurezza chimica dei prodotti e ambiente: due facce della stessa medaglia


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Se chiedessimo a un consumatore con che criterio sceglie un prodotto rispetto ad un altro difficilmente metterebbe al primo posto il fatto che sia “sicuro”, anche se in realtà poi considera la sicurezza un elemento fondamentale. Il fatto che un prodotto sia sicuro, cioè che non provochi alcun danno alla salute del consumatore (o meglio più in generale dei consumatori con cui entra direttamente o indirettamente in contatto), nell’immediato o nel futuro, è dato per scontato, ma è sempre così?

La sicurezza è un prerequisito, un parametro da cui non si può prescindere in qualsiasi prodotto, qualsiasi sia il suo mercato: non è accettabile una gradualità del livello di sicurezza in funzione del prezzo, del target cui il prodotto è destinato, della qualità o del livello di performance, perchè tutti i consumatori devono essere protetti, a prescindere da tutto il resto. A questo riguardo la battaglia consumerista per ottenere regole precise e condivise a livello europeo e mondiale è sempre stata molto forte: da anni è in discussione la revisione della Direttiva Generale 2001/95/EC sulla sicurezza dei prodotti, prossima a trasformarsi in Regolamento (entro il 2014) e rafforzare così il suo mandato. Norme specifiche per diverse categorie di rischio sono state definite per tutti i prodotti e anche implementate per particolari categorie ( es. I giocattoli). Si parla di sicurezza meccanica, termica, elettrica, ma anche chimica, microbiologica o tossicologica. Per alcuni settori produttivi quali ad esempio l’alimentare, il cosmetico, il farmacologico, le norme di produzione e di autorizzazione alla immissione sul mercato sono più specifiche, stringenti e monitorate: spesso disciplinano non solo le caratteristiche del prodotto finale ma anche le modalità di produzione, fino anche al controllo dell’intera filiera produttiva. L’obiettivo è quello di controllare tutte le fasi salienti del ciclo di vita pre-scaffale per prevenire qualsiasi problema di sicurezza. Non solo: è necessario assicurare che la produzione avvenga in modo controllato e rendendo minimo l’impatto sia sulla salute che sull’ambiente.

In effetti, dopo aver raggiunto ragguardevoli risultati in tema di sicurezza meccanica e elettrica, in Europa l’attenzione e gli sforzi si sono rivolti verso la sicurezza chimica/ambientale, un tema già noto ma che solo nell’ultimo decennio ha visto riconoscere la sua importanza. A differenza degli altri tipi di rischio, quello chimico spesso non si manifesta attraverso effetti immediati (a differenza del rischio elettrico o meccanico che provocano shock elettrico, soffocamento, ferite…). Inoltre per il rischio chimico è più difficile determinare il nesso di causa-effetto, se non si tratta di una intossicazione acuta o una reazione di irritazione ( cutanea, delle vie aeree, degli occhi..). A volte gli effetti si palesano dopo anni e/o solo in corrispondenza o accumulo di altri fattori, chimici e non. Di conseguenza non solo per il consumatore è pressochè impossibile identificare il problema in un prodotto, evitarlo o segnalarlo, ma, per alcune sostanze, è stato ed è tuttora molto complicato anche per le autorità scientifiche verificare a monte la loro reale innocuità e normare di conseguenza prodotti e produzione. E’ capitato non di rado che sostanze venissero utilizzate liberamente per anni prima che fossero identificate come potenzialmente pericolose. Spesso poi il rischio chimico si presenta non direttamente col contatto del prodotto con l’uomo, ma indirettamente attraverso la dispersione delle sostanze in ambiente. Un problema che non attiene solo alla gestione delle emissioni e dei rifiuti in fase di produzione: basti solo pensare alla quantità enorme di detersivo, shampoo, bagnoschiuma che giornalmente vengono usati e dilavati con acque che poi raggiungono l’ambiente.

Soprattutto per il rischio chimico/ambientale a livello europeo si è abbracciato il principio di precauzione: in mancanza di prove certe che avvalorino l’innocuità o la pericolosità di una sostanza, si prendono provvedimenti “precauzionali” tali da assicurare la massima sicurezza nella peggiore delle ipotesi (un po’ come se si applicasse la legge di Murphy…). E’ stato il caso recente degli interferenti endocrini: da studi sugli animali si sono ormai accumulate molte prove che evidenziano una correlazione tra l’esposizione ad un vasto gruppo di sostanze chimiche e problemi alla tiroide ed al sistema riproduttivo ed altro. Queste sostanze attraverso acqua e la catena alimentare potenzialmente possono allo stesso modo influire sull’uomo. Non esiste ancora la prova scientifica definitiva e l’opinione degli scienziati non è ancora unanimamente condivisa. Tuttavia, visti i possibili effetti, la Commissione Europea è sempre più spesso spinta a considerare e applicare in via precauzionale misure restrittive nell’uso di queste sostanze e soprattutto a monitorare la situazione, a considerare queste sostanze come dei “sorvegliati speciali”. Non si vuole infatti rivivere situazioni del passato, quando prima di accettare la verità sui danni che alcuni composti provocavano ( come ad esempio l’amianto, o il piombo tetraetile nelle benzine), si sono dovuti aspettare anni e contare molte vittime. Il principio precauzionale, nei casi in cui non è facile identificare e calcolare in modo scientifico il rischio, va così ad affiancare la prevenzione, che viceversa opera quando si conosce il legame causa-effetto e se ne può verificare l’entità del potenziale danno e la probabilità che questo abbia luogo.

Nel tentativo di conoscere meglio e di circoscrivere il più possibile il rischio chimico è stato creato il REACH, Regolamento 1907/2006 per la Registrazione, Valutazione, Autorizzazione e Restrizione delle sostanze chimiche. Seguendo le indicazioni del REACH, la produzione ( con anche l’indicazione di destinazione d’uso) di tutte le sostanze chimiche sono soggette a registrazione e monitoraggio. L’implementazione del Regolamento è a passi successivi, e il 2013 ( per l’esattezza, il 1° Giugno 2013) è un momento di passaggio di fase ( si arriverà all’obbligo di registrazione di sostanze prodotte in quantitativi superiori ai 100 ton/anno).

Il REACH è uno strumento di controllo e di monitoraggio, ed è europeo. Ma al di là del REACH, come si ricordava all’inizio, per il consumatore lo stesso significato di pericolosità si è oltremodo allargato. Una sostanza può essere pericolosa da sola, o in cocktail con altre, o in accumulo col altri dosaggi, da diverse fonti ( prodotti, cibo…). Può derivare dal contatto diretto col prodotto o indirettamente, dall’ambiente contaminato. E questo rafforza ancora più il valore di sicurezza come pre-requisito: un diritto assoluto per il consumatore, non solo dal punto di vista etico-sociale. Il diritto di tutti, a prescindere di chi compra il prodotto, che può avere una maggiore o minore capacità d’acquisto. Perchè un prodotto insicuro dal punto di vista chimico resta tale anche quando, diventato rifiuto, rilascia nell’ambiente sostanze nocive che vanno poi a influenzare la salute di tutti, e non solo di chi l’ha scelto e comprato… E dato che oltre ai mercati, anche l’ambiente non ha confini, potremmo dire con una certa malinconia, che il rischio chimico ha definitivamente globalizzato e democratizzato il problema “sicurezza” per il consumatore.

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Autore:


Laureata in Industrie Agrarie, ha lavorato per 20 anni in Altroconsumo, prima nel settore tecnico alimentare, poi come responsabile italiano e in seguito europeo dell’Ufficio Ricerche tecniche/test comparativi. Dal 2005 al 2012 ha rappresentato il Beuc nel gp di lavoro della Commissione Europea sui cosmetici. Dal 2009 si occupa specificatamente di Consumo sostenibile. Attualmente lavora come consulente del Management d’impresa, area Eco-Sostenibilità.

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