Studi clinici: i risultati sono patrimonio di tutti


Share on LinkedIn

 

Nell’estate 2007, Peter Gøtzsche, attivo esponente della Cochrane Collaboration – un gruppo internazionale di ricercatori che collaborano al fine di valutare criticamente e diffondere informazioni sull’efficacia degli interventi sanitari – richiese all’Agenzia Europea dei farmaci (EMA) informazioni dettagliate su 15 studi clinici sulla base dei quali l’agenzia aveva concesso l’autorizzazione al mercato per due farmaci anti-obesità. A quel tempo nessuno poteva prevedere le importanti conseguenze di questa semplice richiesta per il futuro del settore farmaceutico. L’Agenzia rifiutò di fornire i dati giustificando che la loro diffusione avrebbe potuto ledere gli interessi commerciali delle aziende produttrici.
Gøtzsche si appellò allora al Mediatore Europeo che nel 2010 accusò l’EMA di cattiva amministrazione e la obbligò a consegnare le informazioni richieste. Da quel momento l’EMA si impegnò ad una maggiore trasparenza e tra il 2010 e il 2012 ha fornito su richiesta 1,6 milioni di pagine di studi clinici.
In questo momento l’EMA sta cercando di passare da una politica di trasparenza “su richiesta” – che impegna molte risorse – a una più proattiva. Sulla base di una serie di incontri e gruppi di lavoro che hanno coinvolto industrie farmaceutiche, ricercatori, editori di riviste scientifiche, e organizzazioni non governative, l’EMA ha elaborato una bozza della nuova politica sulla trasparenza che dovrebbe entrare in vigore nel 2014 e che è sottoposta a consultazione pubblica fino a settembre prossimo.
Il punto cruciale del dibattito è la pubblicazione dei risultati degli studi clinici. Le aziende produttrici ritengono che la diffusione dei rapporti degli studi clinici, i cosiddetti “clinical study reports”, comprometterebbe i propri interessi a vantaggio dei concorrenti. L’industria sostiene inoltre che tale quantità di informazioni nel dominio pubblico potrebbero essere mal utilizzate e creare panico ingiustificato nonostante ad oggi vi siano prove solo dei rischi legati alla non divulgazione.
Dall’altro lato, ricercatori, organizzazioni di medici, pazienti, consumatori, chiedono a gran voce la pubblicazione dei dati per far si che altri, oltre alle aziende produttrici, possano compiere valutazioni sui rischi e i benefici dei farmaci.
Il fronte della trasparenza fa appello alla Dichiarazione di Helsinki, una serie di principi etici stabiliti a livello internazionale per tutte le sperimentazioni cliniche nella quale si legge che i ricercatori hanno “il dovere di pubblicare i risultati … e sono responsabili della loro completezza e accuratezza”.
In realtà, ad oggi, le aziende presentano i dati alle autorità regolatorie ma non sono obbligate a pubblicarli su riviste scientifiche e spesso i risultati negativi non vedono mai la luce. Inoltre, si rilevano talvolta discrepanze tra quanto pubblicato e i rapporti completi delle sperimentazioni. Negli Stati Uniti i test clinici devono essere registrati in un sito federale e i dati principali devono essere pubblicati entro un anno ma non sono inclusi i rapporti ufficiali e in ogni caso non tutti rispettano questi obblighi.

 

Il futuro della pubblicazione di dati sui farmaci in Europa dipendono da fattori che vanno ben oltre la consultazione pubblica dell’EMA: da una parte l’esito del processo in corso davanti alla Corte di Giustizia Europea su tre casi che vedono coinvolta l’Agenzia e dall’altra la revisione della normativa comunitaria sugli studi clinici.

 

Nonostante le numerose dichiarazioni di intenti per una maggiore trasparenza da parte dell’industria, nei mesi scorsi le aziende AbbVie e InterMune – con il sostegno delle associazioni di industrie farmaceutiche europee (EFPIA) e americane (PhRMA) – hanno intentato una causa contro l’EMA per la politica di trasparenza attualmente in vigore e che risale al 2010. La sentenza non è attesa a breve e nel frattempo la Corte ha emesso un’ordinanza che impedisce all’Agenzia la divulgazione delle informazioni fino alla conclusione del procedimento giudiziario.

Nel luglio 2012 la Commissione Europea  ha presentato una proposta di Regolamento volta a sostituire la criticata Direttiva del 2001. Il focus originario della revisione non era incrementare la trasparenza quanto semplificare le procedure – ad esempio l’eliminazione del parere vincolante di un comitato etico prima dell’inizio della sperimentazione – e ridurre gli oneri amministrativi per rilanciare le sperimentazioni in Europa, visto il declino del 25 % registrato negli ultimi anni. Ma nel corso del dibattito parlamentare, la pubblicazione dei risultati delle sperimentazioni  è divenuto l’elemento più discusso e controverso.
Il 29 Maggio 2013 la Commissione ambiente e salute pubblica del Parlamento Europeo ha affermato – anche se con poca convinzione – che i rapporti delle sperimentazioni non devono essere considerati confidenziali una volta completata la procedura di esame da parte delle autorità.

Il Parlamento Europeo ha adottato anche altre misure che migliorano sostanzialmente la proposta della Commissione, reintroducendo i comitati etici e rafforzando la tutela dei soggetti che partecipano alle sperimentazione, ad esempio, per quanto riguarda il consenso informato.
Il testo è ora all’esame del Consiglio dell’Unione Europea.

 

La comunità scientifica, medici e pazienti sperano che la Corte di Giustizia Europea, gli eurodeputati e gli Stati Membri si ispirino ai principi di apertura, trasparenza e partecipazione al processo decisionale sanciti nell’articolo 1 del Trattato UE e li riconoscano come elementi cruciali per mantenere e rafforzare la fiducia dei cittadini nelle autorità regolatorie e nella sicurezza dei farmaci sul mercato.

 

Ad oggi solo metà dei risultati delle sperimentazioni sono pubblicati e molti studi non sono neanche registrati. Preziose informazioni su cosa è stato fatto e cosa è emerso durante le sperimentazioni possono andare perdute per sempre portando a studi ripetuti inutilmente e vite messe a rischio inutilmente. Dati mancanti o manipolati per interessi economici o prestigio accademico, minano le basi dell’evidenza scientifica su cui le autorità sanitarie e i medici prendono le loro decisioni riguardo la sicurezza e l’efficacia di un farmaco. Molti scandali come rofecoxib (Vioxx°), rosiglitazone (Avandia°), rimonabant (Acomplia°) potevano essere evitati se i dati dei test clinici fossero stati pubblicati e resi disponibili per una valutazione tempestiva e indipendente della comunità scientifica.

 

Avere accesso ai dati delle sperimentazioni cliniche è utile per medici e ricercatori ed è un diritto di tutti e soprattutto di quei pazienti che vogliono avere un ruolo sempre più attivo nelle decisioni che riguardano la propria salute e devono poter accedere ai dati sulla base dei quali i farmaci che utilizzano sono stati ritenuti sicuri. Anche se si vogliono considerare solo gli aspetti economici, occorre tener conto che più trasparenza significa anche più efficienza nella spesa pubblica. Sulla base di dati parziali e distorti vengono infatti approvati molti farmaci che non sono più efficaci di un trattamento più economico già in uso o di un placebo.
Gli stessi standard etici e di trasparenza dovrebbero inoltre essere applicati agli studi clinici condotti per i dispositivi medici.

 

Anche il resto del mondo guarda all’Europa in questo momento. E’ importante inviare un segnale forte e affermare senza esitazioni che i risultati delle sperimentazioni sono patrimonio di tutti. I volontari che prendono parte agli studi clinici espongono se stessi a gravi rischi legati a possibili effetti collaterali con spirito di altruismo e a beneficio della collettività: una volta ottenuta l’autorizzazione al commercio le industrie farmaceutiche non possono tenerli chiusi nelle loro casseforti come informazioni confidenziali ma devono renderli accessibili ad ognuno di noi.

 

Print Friendly

Autore:


Responsabile del settore salute presso l’Organizzazione Europea dei consumatori (BEUC). Membro del comitato scientifico dell’Agenzia Europea del farmaco, dell’EU Health Policy Forum e di altri gruppi di lavoro della Commissione Europea. Laureata in Economia presso l’Università Bocconi, svolge attualmente attività di ricerca presso l’Università di Maastricht.

Non ci sono commenti.

Inviando il commento accetti espressamente le norme per la Privacy.