L’economia comportamentale e le scelte alimentari


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Le scelte alimentari sono determinate da complessi meccanismi che chiamano in causa l’istinto e la fisiologia, oltre alla razionalità. Riuscire a nutrirsi correttamente è difficile e richiede molta forza di volontà, oppure astuzia. L’economia comportamentale offre strumenti capaci di supportare i buoni propositi, individuali o sociali.

Introduzione


Secondo molti economisti e psicologi comportamentali, gli esseri umani sono facilmente influenzabili. Se una mensa mette in evidenza i cibi più salutari, è più facile che le persone si alimentino meglio. Se, invece, in bella mostra ci sono alimenti poco salutari, sarà più difficile, per i clienti di quel ristorante, mantenere la linea. Con un esempio simile, Thaler e Sunstein (Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, Milano, 2009) iniziano una riflessione sulle caratteristiche decisionali degli esseri umani. Il contesto in cui avviene la scelta influenza preferenze e scelte. E’ quindi possibile stimolare le persone a fare qualcosa che vorrebbero, ma non riescono – ad esempio per mancanza di forza di volontà – costruendo l’ambiente decisionale in maniera appropriata.


Dayan e Bar Hillel (Nudge to nobesity II: Menu positions influence food orders, Judgment and Decision Making, 6, 4, pp. 333- 342, 2011) hanno testato proprio l’effetto della posizione nel menù di cibi diversi sulle scelte di consumarli. I cibi più in vista risultano più consumati. Se nelle posizioni chiave si inseriscono i cibi più salutari, sembrerebbe allora possibile, senza costi particolari, aiutare a gestire il problema dell’obesità. Dagli anni ottanta del secolo scorso ad oggi, in molti paesi europei, le dimensioni del fenomeno sono triplicate e il numero di persone coinvolte continua a salire in modo allarmante. L'obesità è fonte di preoccupazione perché causa problemi psicologici e disabilità fisiche, e perché un eccesso di peso è drasticamente correlato con il rischio di sviluppare un alto numero di malattie.

 

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Leggendo il libro di Thaler e Sunstein e la letteratura correlata, sembra tutto molto facile, forse troppo. Intanto bisogna vedere quanto è veramente forte l’effetto di questo tipo di condizionamento e quali persone influenza. Non tutti hanno lo stesso interesse nei confronti del cibo; sicuramente ci sono persone più attratte. Così come chi è più sensibile al prezzo, in un supermercato, dedica più tempo a cercare le offerte anche negli scaffali nascosti, un individuo molto interessato al cibo potrebbe essere meno soggetto a condizionamenti di questo tipo, in quanto più disposto ad esplorare l’ambiente.


C’è poi un problema di libertà di scelta. Le persone sono contente di essere spinte a mangiare cibi sani? Lo sono se immaginiamo che abbiano una parte razionale che combatte contro un lato istintivo e meno saggio. Se è così, bisogna costruire contesti di scelta tali da permettere alla parte razionale di avere il controllo.

 

Scelte alimentari, comportamento e cognizione


I meccanismi che regolano l'appetito sono molto complessi e possono essere assimilati a scatole cinesi. Il primo livello è molto istintivo e viscerale, e coinvolge l'ipotalamo e ormoni quali la grelina; esso è strettamente correlato con lo stato di riempimento dello stomaco e dell'intestino. Sebbene l'effetto oressigenico (ovvero tale da stimolare l'appetito) della grelina sia prevalente, il meccanismo in questione riceve anche segnali di sazietà provenienti dallo stato di distensione delle viscere e dal tessuto adiposo presente. Il secondo livello è costituito dal sistema mesolimbico (un’area del cervello), che lega in modo molto stretto la nostra alimentazione alla sfera emozionale, associando la soddisfazione dei nostri bisogni più istintivi a una sensazione di benessere. Infine, il terzo livello, è più conscio e legato alla sfera cognitiva e quindi alle scelte consapevoli e si può collegare alla neocorteccia. Nell’ambito alimentare le scelte consapevoli e volontarie avvengono a questo livello, ma la ragione deve interagire con la fisiologia e gli istinti.


Il modo in cui l’evoluzione ci ha costruiti è tale da rendere difficile le diete e la stessa capacità di resistere ad alcune tentazioni. Per i nostri progenitori il problema è sempre stato quello di non morire di fame. La capacità e il desiderio di mangiare tanto erano vantaggiosi. Il grasso accumulato in quei periodi era poi smaltito quando si poteva mangiare poco, grazie ad adattamenti fisiologici che portano a consumare meno quando ci si nutre in quantità minore. In una fase di dieta, il corpo, infatti, limita i consumi energetici. Una forte diminuzione dell'intake calorico viene decifrata dal corpo umano come l'inizio di un periodo di carestia in cui bisogna utilizzare con efficienza massima le calorie disponibili. Così se, in un periodo normale, parte delle calorie in eccesso venivano consumate all'interno di una serie di cicli metabolici futili, in una fase di scarsità il metabolismo rallenta nel tentativo di risparmiare energia e si intaccano i depositi di grasso per ottenere la quantità di calorie che non vengono più assunte attraverso la dieta. Quando poi, in un secondo momento, si ritorna ad un apporto normale di calorie il corpo umano utilizza tutte le eventuali calorie in eccesso per ripristinare i depositi di energia utilizzati durante la fase di carenza.


Anche l’attrazione per il dolce e il grasso sono frutto della nostra evoluzione. Soddisfare questo tipo di desiderio è un piacere primario che si apprende dalla specie ed è quindi intrinseco (anche se non inalterabile). Il consumo dei cosiddetti cibi-spazzatura attiva gli stessi circuiti neuronali che portano alla dipendenza dalla droga (si veda Linden, 2012 una cui recensione è disponibile on line all’indirizzo http://www.lindiceonline.com/index.php/blog/lo-zen-e-l-arte-dell-economia/657-il-piacere).
Ubel (La follia del libero mercato, Etas, Torino, 2009) descrive l’effetto di altri meccanismi percettivi e sociali che possono rendere difficile resistere alle tentazioni.

 

Conclusioni

 

La forza di volontà può essere immaginata come un muscolo. Se si sforza per svolgere un compito, è difficile usarlo, in contemporanea, anche per un’altra attività. Non si può, allora, fare una dieta, mentre si prepara un esame difficile o mentre si vive una situazione stressante. Nel mondo d’oggi lo stress, però, sembra un naturale compagno di viaggio. Controllare la quantità e la qualità del cibo consumato è quindi molto complicato. Non tutti hanno la forza di volontà necessaria. Gli strumenti dell’economia comportamentale diventano allora preziosi, a livello individuale o sociale.


Lo stato può decidere di intervenire in vari modi. Il progetto europeo CHANCE (“Low cost technologies and traditional ingredients for the production of affordable, nutritionally correct foods improving health in population groups at risk of poverty”) individua un’altra dimensione del problema: le fasce sociali più povere sono più soggette al rischio obesità. Per queste fette di popolazione non solo si prospetta un potere d'acquisto minore, e quindi l'inaccessibilità a cibi più salutari, ma anche la predisposizione psicologica a un maggiore consumo di cibi grassi proprio per la percezione di una situazione stressante di urgenza. Il progetto mira ad individuare linee di prodotti alimentari salutari che siano economici ed accattivanti nel packaging tanto quanto il junk food.

 

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Autore:


MARCO NOVARESE Professore associato di Economia Politica, presso l’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, coordinatore dell’Area Cognizione, Economia e Società della Fondazione Rosselli e direttore del Centro Interuniversitario di Economia e Psicologia Sperimentali e Simulative. Si occupa di economia cognitiva, processi decisionali e di apprendimento e delle relative implicazioni per le politiche pubbliche e formative. Cura un blog per l’Indice dei Libri: Lo Zen e l’arte dell’economia (http://www.lindiceonline.com/index.php/blog/lo-zen-e-l-arte-dell-economia) POLLYANNA ZAMBURLIN Lavora come biologa nutrizionista in Liguria. E’, inoltre, consulente per il Centro di Studi Internazionali Primo Levi di Torino, per cui cura la ricezione nel mondo scientifico dell'opera e della figura dello scrittore. Si è occupata di ricerca scientifica di base presso l'Università degli Studi di Torino per diversi anni; ha lavorato nel laboratorio di Neurofisiologia Cellulare, dove ha conseguito un dottorato in Neuroscienze nel 2005. E' stata professore a contratto per il corso di Elementi di Anatomia e Fisiologia Umana presso la facoltà di Scienze MFN dell'Università di Torino (Laurea Specialistica in Fisica Ambientale e Biomedica).

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