Negoziare o mediare? La negoziazione assistita dagli avvocati


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Mediazione e negoziazione condividono alcuni profili, ma caratteristiche e finalità sono diverse.
    La negoziazione si svolge, di regola, fra due soggetti che hanno in comune un obiettivo, tipicamente la stipulazione di un contratto, e la loro contrapposizione concerne essenzialmente le condizioni economiche: nell’epoca che ha preceduto la produzione di serie e la grande distribuzione commerciale non vi era, praticamente, contratto che non fosse oggetto di trattativa.
Alla produzione artigianale facevano riscontro rapporti personali fra produttore/venditore ed acquirente, così come, di regola, i prodotti erano personalizzati: non è un caso che con la produzione di beni su larga scala abbiano origine anche i contratti ‘di serie’, o per adesione, che vedono tramontare l’autonomia negoziale del contraente ‘debole’, al quale rimane soltanto la scelta fra contrarre o non contrarre, essendo venuta meno la reale possibilità di incidere sulle condizioni dello scambio.
Il radicamento della grande distribuzione, che pur ha avuto luogo con tempi e modalità diverse nel territorio del nostro Paese, ha definitivamente relegato la negoziazione ad ambiti marginali, un’eccezione, non più la regola.
    La trattativa rimane oggi la norma nei rapporti commerciali fra operatori, nelle compravendite immobiliari, e poco più: forse non è fuori luogo affermare che si è persa un’attitudine, fors’anche una capacità, un’abilità che a lungo ha fatto parte della comune cultura.
    Una ‘cultura’ che trova estrinsecazioni diverse in differenti contesti: non v’è chi non abbia esperienza della innata capacità negoziale dei venditori ambulanti dei Paesi dell’Africa mediterranea che propongono in vendita oggetti d’ogni tipo nelle nostre strade, e molti hanno altresì potuto constatare come, in quei Paesi, anche i bambini che offrono souvenir ai turisti possano considerarsi negoziatori nati.
    Il negoziato fra le parti che si fronteggiano ha i suoi ritmi, i suoi tempi: plateale conferma di ciò si ha nel negoziato sindacale, in quello fra Stati od organizzazioni sovrannazionali, che accentuano i tratti del cerimoniale, della codificazione dei riti.
Nella mediazione, invece, si è in presenza di una lite, una contrapposizione profonda fra la parti, a fianco delle quali interviene un soggetto terzo, il mediatore, che non rappresenta interessi propri, ma agisce all’unico fine di consentire alle parti stesse di raggiungere proficuamente la sintesi delle rispettive posizioni.
La differenza è evidente, anche sul piano procedurale, basti pensare agli incontri separati del mediatore con ciascuna parte ed ai riflessi di ciò sulle sessioni congiunte, guidate dal mediatore sulla base di quanto ha potuto comprendere discutendo separatamente con i configgenti in modo assai più pacato di quanto possa risultare possibile in presenza di tensioni ed atteggiamenti intransigenti.
Il legislatore d’Oltralpe, che sempre si è mostrato sensibile verso la mediazione -tanto che il modello francese di mediazione delegata dal giudice (artt. 21-25 Loi n. 95-125 dell’8 febbraio 1995, e decreto di applicazione n. 96-252 del 22 luglio 1996) è stato fatto proprio dalla Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008- con la Loi n° 2010-1609 del 22 dicembre 2010 ha introdotto nel code civil la procédure participative, negoziazione fra le parti in lite assistite dai rispettivi legali che, nel caso di composizione del contrasto, consente di sottoporre al giudice l’accordo per ottenerne l’omologazione; successivamente, con il Décret n° 2012-66 del 20 gennaio 2012, ha adottato le relative norme procedurali.
La proposta di legge n. 4376 della XVI legislatura, presentata alla Camera il 25 maggio 2011 reca il titolo Disciplina della procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato, ed è ispirata al modello francese del quale sono espressione gli artt. 2062-2067 del code civil e l’art. 1542 del code de procedure civil.

Un procedimento che ricalca questa proposta di legge è stato incluso nel D.l. 12 settembre 2014, n. 132Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile che, definitivamente convertito in legge, con modificazioni, dalla Camera il 6 novembre 2014, è ora la l. 10 novembre 2014, n. 162.

L’intento di alleggerire il carico degli organi giudiziali è perseguito a colpi d’ascia, valga per tutti l’esempio del trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti pendenti, riservando ai soli avvocati la capacità di essere arbitri, in spregio all’art. 812 cod. proc. civ., a norma del quale chiunque può assumere incarichi arbitrali, ad eccezione di “chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire”.

Focalizzando l’attenzione, in questa sede, sulla procedura di negoziazione assistita (sempre da avvocati!) appena adottata dal nostro ordinamento, essa è, innanzitutto, obbligatoria prima del ricorso al giudizio in tutte le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli e dei natanti, oltre che in ogni domanda di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti 50 mila euro.

E’ curioso, ed induce a non pochi retropensieri, il percorso delle controversie correlate ai sinistri stradali: incluse nel 2010 nel novero delle liti per le quali era obbligatorio il ricorso alla mediazione, su questo vincolo si concentrarono gli strali dell’avvocatura, interessata a tutelare quella parte di sé, presumibilmente grande, che da questi sinistri trae reddito; depennate nel 2013 dalla lista delle tipologie di controversie che è d’obbligo mediare, ricompaiono ora in uno dei due casi rispetto ai quali è vincolante la mediazione assistita.

La negoziazione assistita rappresenta, poi, una svolta nelle cause di separazione e divorzio ove l'accordo raggiunto equivale ai provvedimenti giudiziali; nel caso non vi siano figli minori, o portatori di handicap gravi, o economicamente non autosufficienti, ed all’ulteriore condizione che l'accordo non riguardi il trasferimento di diritti patrimoniali i coniugi possono comparire –in questo caso senza l'assistenza dei difensori- direttamente in comune innanzi all'ufficiale di stato civile per concludere un accordo di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, oppure di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Mentre la semplificazione delle procedure inerenti l’epilogo delle relazioni coniugali appare, nel complesso, opportuna e condivisibile –a condizione che i negoziatori siano in grado di affrontare debitamente questa delicatissima sfera- ben altre considerazioni suscita invece la disciplina generale della negoziazione assistita, la cui rilevanza quantitativa è resa palese –come si è anticipato- dall’obbligo di farvi ricorso in tutte le controversie di valore contenuto entro 50.000 euro, a meno che la richiesta abbia origine da un rapporto per il quale è stabilita l’obbligatorietà di percorrere la via della mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziario) nel qual caso sarà questa seconda procedura a prevalere.

Da rilevare che già nel testo modificato dal Senato del D.l. 12 settembre 2014, n. 132 (e confermato dalla Camera) non solo era stato soppresso l’originario obbligo relativo di ricorrere alla negoziazione assistita per ogni controversia riposta sul codice del consumo, ma anzi, il primo comma dell’art. 3 espressamente escludeva che lo stesso obbligo di negoziare le controversie di entità superiore a 50.000 euro potesse trovare applicazione nei confronti delle controversie concernenti i consumatori.

In definitiva, un ondeggiare fra soluzioni diametralmente opposte la cui ratio non è facile cogliere.

La mediazione, invisa ad origine dalla lobby forense e da questa contrastata con ogni mezzo, è stata totalmente ignorata dalla legge ora approvata, avendo il legislatore scelto di trascurare le pur numerose indicazioni della dottrina  e della giurisprudenza volte a rendere più efficace questo innovativo strumento.

Da sottolineare, fra l’altro, che la mediazione è destinata a divenire il mezzo privilegiato di composizione delle controversie di consumo e di utenza con il recepimento  (luglio 2015) della Direttiva 2013/11/UE del 21 maggio 2013 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, nonché con la completa entrata in vigore (gennaio 2016) del Regolamento 524/2013/UE, anch’esso del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie on-line dei consumatori. 
E’difficile sfuggire al sospetto che uno strumento quale la negoziazione assistita possa essere stato voluto per depauperare le potenzialità della mediazione -che, lentamente, sembrava prender piede, grazie anche ai promettenti indirizzi giurisprudenziali in tema di mediazione delegata dal giudice – e, fors’anche, per neutralizzarla: si consideri, in primis, la concorrenza fra i due procedimenti nel caso di scelta volontaria, fuori dalle rispettive sfere d’obbligo.

In altri termini, può ritenersi che l’avvocatura –il cui complessivo influsso sul D.l. 12 settembre 2014, n. 132 appare evidente- abbia ottenuto dal legislatore uno strumento del quale avvalersi per avviare la mediazione ad arenarsi nelle secche della desuetudine, con buona pace di chi, confidando nell’innovatività del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 che, recependo la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008, la disciplinò, ha investito nella propria formazione quale mediatore, nella costituzione di enti di formazione dei mediatori, o nell’organizzazione di organismi di mediazione.

Un solo aspetto positivo è forse, possibile, scorgere nella negoziazione assistita, anche se probabilmente estraneo alle motivazioni del legislatore, interessato soltanto ad alleggerire –costi quel che costi- il carico di lavoro delle sedi giudiziarie: l'invito alla trattativa, nei casi in cui essendo questa obbligatoria costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, dovrebbe sortire, di fatto, il non disprezzabile effetto di evitare almeno le citazioni ‘a bruciapelo’ -ad esempio

a fronte di un semplice ritardo nei pagamenti- al solo fine di radicare cause volte a consentire al difensore di lucrare le spese.

Se, infatti, deve essere, prima, inviato l'invito alla negoziazione assistita, di fatto al debitore moroso è concessa la possibilità di sanare entro trenta giorni la propria posizione senza costi ulteriori.

La negoziazione assistita ha fatto propria in non esigua parte la disciplina dalla mediazione, in quanto all’atto del conferimento della procura alle liti, l’avvocato deve informare il cliente della possibilità di ricorrere a questo strumento e la mancata informativa rileva sul piano disciplinare; lo stesso dicasi per la riservatezza, l’efficacia esecutiva dell’accordo, l’interruzione della prescrizione.

Il procedimento –che analogamente alla mediazione può essere volontario od obbligatorio- ha inizio con l’invito a stipulare la convenzione di negoziazione, indicando l’oggetto della controversia vertente su diritti disponibili ed avvisando che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione, od il suo rifiuto, potranno essere valutati dal giudice ai fini delle spese del giudizio; il legale che assiste la parte certifica l’autografia della firma di quest’ultima e l’invito stesso interrompe la prescrizione.

Se entro trenta giorni dall’invito vi è l’accettazione della controparte viene redatta -in forma scritta a pena di nullità- la convenzione di negoziazione, mediante la quale le parti si accordano per “cooperare in buona fede e con lealtà” onde superare in via amichevole il conflitto con l’assistenza di avvocati iscritti all’albo (le amministrazioni pubbliche si avvalgono dell’avvocatura dello Stato); avviata la negoziazione, che è interamente lasciata allo stile, all’esperienza ed alla capacità dei legali, essa deve concludersi entro il termine concordato fra le parti (non inferiore ad un mese e non superiore a tre mesi, con un eventuale proroga di trenta giorni).

L’accordo eventualmente raggiunto, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, mentre la dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati intervenuti.

            La legge nulla dispone circa il compenso spettante ai legali, pertanto è da ritenersi che trovi integrale applicazione il tariffario forense relativamente al corrispettivo per l’assistenza agli accordi transattivi extragiudiziali: non poco, e non facilmente conoscibile dalle parti al momento dell’avvio della procedura.

Oltretutto, come già è accaduto per la mediazione, aver resa obbligatoria l’assistenza dei legali in un procedimento privo di natura giurisdizionale rappresenta una forzatura priva di ogni giustificazione, come totalmente avulso da ogni fondamento è l’obbligo stesso di percorrere la strada della negoziazione assistita: come tutti gli avvocati sanno, è raro che un’azione in giudizio non sia stata preceduta dallo sforzo –sovente anche prolungato ed impegnativo, di raggiungere un accordo.

Cosa aggiunge, quindi, il nuovo strumento, se non l’affossamento della mediazione volontaria, quella –peraltro- che riscontra maggiori chances di successo?

Perché mai professionisti che terzi non sono dovrebbero riuscire a condurre le parti oltre il conflitto meglio di un mediatore imparziale e, se non altro, un poco preparato ad affrontare il difficile compito, se ha seguito almeno il corso di 50 ore obbligatorio per chi non è avvocato?

Inoltre la norma francese, della quale quella italiana è –sostanzialmente- la traduzione, è assai chiara nell’affermare (art. 2062 cod. civ) che “Toute personne, assistée de son avocat, peut conclure une convention de procédure participative sur les droits dont elle a la libre disposition”, non trova, però, riscontro nell’art. 2 del testo approvato dalla Camera il 5 novembre, ove invece si legge “La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo […]”: la differenza è evidente, in quanto la norma nazionale, nella sua ambiguità, alimenta l’equivoco che il negoziatore –al pari del mediatore- possa essere uno soltanto, non comprendendosi, peraltro, né in qual modo sia individuato ed incaricato, né a quali principi di imparzialità risponda.

Ma ciò che più conta è che ben diverso è il background delle due scelte legislative: in Francia è radicata l’esperienza del ‘droit collaboratif’, espressione dell’avversione degli avvocati –specie di quelli che praticano il diritto di famiglia- a ricorrere agli strumenti giudiziari: non a caso questo vero e proprio movimento culturale si è sviluppato parallelamente alla mediazione, e la prestigiosa Ecole professionnelle de la médiation et de la négociation forma entrambe le figure, garantendo così l’adeguata professionalità degli avvocati che operano sia quali mediatori, sia in veste di negoziatori.

Nessuna preoccupazione circa l’adeguatezza dei negoziatori ha sfiorato il nostro legislatore, che ha fatto proprio il pernicioso luogo comune secondo il quale ogni legale è un negoziatore nato, come confermato dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che ha convertito il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto ‘decreto del fare’) promuovendo ex lege mediatori tutti gli avvocati iscritti ad un albo ed esonerandoli così dal pur blando percorso formativo necessario ad ogni altro profilo professionale. 
Infine una vera e propria chicca: differentemente dalla mediazione, ove tale obbligo vige per il mediatore e, forse, anche per altri soggetti partecipanti al procedimento, la nuova legge esclude per l’avvocato l’obbligo di segnalare operazioni sospette ai fini dell’antiriciclaggio.

 

 

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Autore:


Professore di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, ove è incaricato anche del corso di Diritto dei consumatori, è avvocato e co-direttore di Consumatori, diritti e mercato. E' responsabile scientifico di numerosi enti di formazione dei mediatori civili e commerciali.

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