Liberalizzazioni formato topolino


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Il programma politico ed economico delle liberalizzazioni e privatizzazioni nasce negli anni 70/80 anche grazie all’affermarsi di un’articolata teoria economica, e trova una prima applicazione negli Stati Uniti e nel Regno Unito, Paesi in cui il mercato concorrenziale è parte riconosciuta e irrinunciabile dell’organizzazione economica e sociale. Il suo obiettivo è duplice: riportare nei mercati dei servizi e in quelli finanziari attività e imprese che operavano sotto il controllo diretto dello Stato; marginalizzare le posizioni monopolistiche. I beneficiari immediati dovevano essere i consumatori e le imprese, ma nel lungo periodo l’obiettivo era anche quello di un più rapido sviluppo. Negli anni 80 e 90 questo programma diventa l’asse portante della politica industriale anche dei Paesi numero 2/2012 della Cee, dove però le resistenze “strutturali” alla politica di promozione della concorrenza sono forti. Le aree comuni d’intervento sono in primo luogo i servizi di pubblica utilità – in Europa prevalentemente erogati da imprese pubbliche – ma anche alcuni servizi alle persone e alle imprese molto regolamentati (le professioni, il servizio taxi, la distribuzione commerciale, il servizio bancario ecc.), nei quali tuttavia i vari Paesi intervengono procedendo in ordine sparso, senza che l’Ue riesca a imporre una linea comune.

Per quanto riguarda i servizi di pubblica utilità, mentre nel Regno Unito e soprattutto negli Stati Uniti le liberalizzazioni hanno complessivamente conseguito gli obiettivi desiderati, lo stesso non può dirsi per i Paesi dell’Europa continentale, dove l’adozione della stessa politica è più incerta e gli esiti sono molto differenziati. Lo stesso programma determina, quindi, risultati piuttosto diversi in relazione alle diversità istituzionali, politiche ed economiche dei vari Paesi.

In Italia – dalla seconda metà degli anni 90 alla prima metà del primo decennio 2000 – privatizzazioni e liberalizzazioni hanno coinvolto ampi settori. Non è, però, facile trarre un bilancio complessivo, sia perché gli esiti sono molto diversi sia perché i risultati risentono di molti e importanti fattori esterni che li influenzano: si pensi agli sviluppi tecnologici, all’aumento dei prezzi dei prodotti energetici, all’estendersi della fiscalità, alla presenza o meno di un’Autorità ecc. Si può comunque ragionevolmente affermare che questi risultati sono inferiori alle attese, per quanto riguarda i benefici ai consumatori, e non sono riconoscibili per quanto riguarda lo sviluppo economico, che è rallentato. Indubbiamente la minor crescita non è imputabile a queste politiche, ma proprio non si può affermare che esse l’abbiano risollevata.

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Autore:


Insegna Economia presso l’Università di Milano-Bicocca e l’Università Cattolica di Milano. Ha fondato la rivista Consumatori, diritti e mercato ed è direttore della rivista Economia e politica industriale. Ha pubblicato libri e articoli in tema di concorrenza, politica industriale, economia dei media e proprietà intellettuale. E' vicepresidente di a2a s.p.a.

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