Liberalizzazioni formato topolino


Share on LinkedIn

Sia la Legge salva-Italia che quella cresci-Italia si propongono di portare più concorrenza anche in altri settori molto regolati che producono servizi soprattutto per i consumatori: distribuzione commerciale, taxi, farmacie, avvocati, notai, assicurazioni ecc. Quale tipo di concorrenza? Il modello di concorrenza implicito in cresci-Italia assume che al moltiplicarsi del numero delle imprese che producono uno stesso bene o servizi aumenta il grado di concorrenza. L’implicazione di politica economica è che bisogna favorire l’accesso di un maggior numero di soggetti. Tuttavia l’ingresso nel mercato di un maggior numero di soggetti con caratteristiche produttive e di costo sostanzialmente identiche non ha necessariamente come effetto l’aumento della concorrenza e la diminuzione del prezzo. Vi è, infatti, il rischio di collusione tacita tra operatori economici che non hanno alcuna possibilità di prevalere sugli altri, per il fatto che hanno un limite alla loro crescita. Non è casuale che in alcuni settori – si pensi ai taxi, agli avvocati, alle farmacie – il prezzo sia fissato per tutti tramite accordi raggiunti in vario modo, anche con la benedizione pubblica. Per contro sarebbero in grado di fare una vera concorrenza quelle imprese nuove caratterizzate da strutture organizzative diverse. In questi servizi la tecnologia che fa la differenza competitiva è il modello organizzativo, anche in considerazione del fatto che i prodotti sono simili. In ambiti come il servizio taxi, le farmacie, ma anche gli studi d’avvocato, la diversità organizzativa è abbinata a dimensioni maggiori: cooperative, società per azioni, supermercati ecc. introducono minori costi derivanti dalle economie di dimensione e di varietà. Pertanto l’ingresso di un maggior numero di unità produttive nell’erogazione di questi servizi – come ipotizzato inizialmente dal D.l. salva-Italia e dalla Legge cresci-Italia forse aumenterebbe l’occupazione, ma certamente non il prezzo né la qualità del servizio.

Sia le “lenzuolate” di Bersani sia la Legge cresci-Italia hanno evidenziato quanto sia difficile liberalizzare. Liberalizzare non è un semplice intervento di tecnica economica volto ad “aumentare il grado di concorrenza”; significa anche e soprattutto trasformare una società piuttosto immobile, permeata di familismo e corporativismo e poco fiduciosa dei benefici del mercato. Le resistenze vanno interpretate e di esse è opportuno tenere conto, non solo per prevenirle e aggirarle in sede legislativa, ma anche per trovare soluzioni istituzionali che rendano più accettabili le nuove norme. Gli scontri frontali sono costosi e perdenti. L’Italia non è il Regno Unito, né gli Stati Uniti. Valga un’ultima, ma importante, considerazione critica sulla politica economica per lo sviluppo del Paese. Gli economisti peccano sistematicamente di riduzionismo culturale quando identificano la loro schematica e parziale visione della società con la società stessa. Questa è una distorsione gravida di conseguenze, soprattutto quando gli economisti sono al Governo e pensano che l’imposizione normativa di un po’ più di concorrenza sia sufficiente a smuovere una società immobile. Per ottenere questo risultato si richiederebbe prima di tutto una visione e una politica capace di scuotere questa società, ma di essa al momento non vi è traccia.

 Questo articolo trae origine da un intervento dell’autore predisposto per l’associazione Astrid, non ancora pubblicato.

 

* La versione integrale sarà pubblicata sul numero 2/2012

Print Friendly

Autore:


Insegna Economia presso l’Università di Milano-Bicocca e l’Università Cattolica di Milano. Ha fondato la rivista Consumatori, diritti e mercato ed è direttore della rivista Economia e politica industriale. Ha pubblicato libri e articoli in tema di concorrenza, politica industriale, economia dei media e proprietà intellettuale. E' vicepresidente di a2a s.p.a.

Non ci sono commenti.

Inviando il commento accetti espressamente le norme per la Privacy.